“Tradurre già in sé è un atto di amicizia, un movimento verso l’altro che si risolve nel porre la propria voce accanto a quella dello scrittore, in una specie di confronto di fedeltà.” Ezio Raimondi
La oramai mitica traduzione curata da Giuseppe Guglielmi di Morte a Credito, capolavoro indiscusso di Céline, resta ancora inspiegabilmente inedita per una qualche stronza questione di diritti editoriali.
Mi accodo spassionatamente a quanto riferisce il prof. Ezio Raimondi in un suo bel libretto di ricordi Le Voci dei Libri: “Il romanzo era già stato pubblicato in una versione di Giorgio Caproni, che aveva tuttavia inserito una tonalità toscana poco adatta a rendere Céline, che vernacolare non è mai. L’Equivoco di Caproni fu quella di risolvere la lingua sulfurea del francese, il suo grottesco da tragedia, in linguaggio comico, senza poter dare conto degli elementi apocalittici di cui quella comicità si sostanzia, portando alla fine in tutt’altra dimensione, quella semmai del Dante infernale… Céline è tra i primi che cerca di tradurre la dissonanza in linguaggio poetico, là dove la nudità dell’essere si lega a un mondo di suoni, al cozzo dei metalli, in una lingua che gareggia con i bombardamenti. In alcuni tratti si ha la sensazione di essere dentro la terra che trema. La parola oscilla quasi in un sisma grandioso dove le granate producono il ribaltamento del suolo e sovvertono le leggi della gravità. Tutto questo riesce a conservare in un prodigio di sensibilità acustica, la versione di Guglielmi.”
Sensibilità acustica mi pare dote fondamentale a uno scrittore, vedi l’implacabile ascoltatore Elias Canetti del Testimone Auricolare, figuriamoci quanto sia talento imprescindibile a un traduttore operante nella solitudine e nell’ombra, eroico minatore intento all’estrazione di sensi suoni significati, cercatore d’oro tra fiumi, mari e montagne di parole color carbone.
Anche sull’intenso Viaggio al Termine della Notte, amaro prontuario di profezie tutt’altro che smentite ai giorni nostri, bibbia della disperazione Occidentale vissuta e manoscritta sull’abisso delle guerre mondiali, alle frontiere del fordismo yankees, ai margini dell’alienazione urbana e dei vorticosi deliri della Tecnica, delle inesorabili contraddizioni del progresso, dei soprusi del post-colonialismo, c’è un interessante confronto intellettuale fra traduttori che Ernesto Ferrero racconta assai bene in questa sua nota sulla rivista Tradurre.
In aggiunta finale, le illustrazioni di Jacques Tardi “traducono” in immagini con minuziosa congenialità d’intenti l’atmosfera d’impotenza, l’umornero di disfatta e la schiuma avvelenata d’apocalisse che sovrasta questi due pilastri della letteratura mondiale