John Hassell: Teorie di Sogni Suoni e Visioni Aborigene

4 Febbraio 2023
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Fire Dreaming by Malcolm Maloney, Jagamarra People
Songlines by Walangari Karntawarra

John Hassell: Teorie di Sogni Suoni e Visioni Aborigene

John Hassell, il trombettista e compositore americano classe 1937 è morto due anni fa nel 2021. È noto per aver diffuso il concetto di musica del “Quarto mondo”, che combina elementi di varie tradizioni etniche mondiali fuse all’elettronica moderna ricrea un “suono primitivo/futurista unificato”. Il “quarto mondo” è quello che fonde gli impulsi istintivi del Terzo con le velleità razionali del Primo. Hassell è stato un vero precursore della World Music molto prima che il mondialismo diventasse posa perbenismo da jet set, moda salottiera o bieco business.

Pandit Pran Nath lo ammaestra ad usare l’ampiezza microtonale della voce come fosse uno strumento a sé che Hassell trasferisce nel suono (nel soffio) della sua tromba con cui riesce ad emettere dei raga continui come in un flusso liquido usando in un certo modo le valvole dello strumento come se soffiasse in una conchiglia.

A proposito di questo particolare timbro della voce fluida soffiata da Hassell attraverso la sua tromba, Scaruffi scrive:

“L’intera musica di Hassell è tutto sommato una ricerca di quel timbro, misterioso e arcaico, che da solo vale più di qualsiasi sinfonia, un timbro capace di risuonare con la condizione umana. (…) la snake trumpet di Hassell, sottile e cupa, umida e molle, torbida e malata, entra di diritto fra i più audaci virtuosismi del decennio.”

È di Hassell la tromba nel sesto album in studio di Francesco Guccini Stanze di vita quotidiana registrato negli Studi Fonorama di Milano, Sonic e Ortophonic di Roma tra l’autunno del 1973 e la primavera 1974. Riccardo Bertoncelli recensì il disco con una certa malignità: “Guccini se ne esce fuori con un disco all’anno, ma si vede che ormai non ha più niente da dire“. A cui il cantautore rispose per le rime nel 1976 con L’avvelenata “…un Bertoncelli o un prete a sparare cazzate…”

Vernal Equinox preannuncia l’etno-elettronica, è del 1977 ed è considerato dalla critica uno dei più grandi album della musica ambient. Il disco fonde con raffinata sapienza il lavoro di minimalisti come La Monte Young e Terry Riley, la musica popolare orientale, l’avanguardia classica, l’elettronica il Miles Davis della svolta elettrica dei primi anni ’70. Riascoltato ancora oggi il disco conserva un inquietante potere narcotico, una sua segreta ed elementare bellezza che ipnotizza i sensi.

Songlines

Gli strumenti tradizionali suonati sul disco provengono da Sud Africa, Sud America, Medio Oriente etc. La musica multiculturale di Hassell spesso sembra propulsiva, ma la sua architettura ritmica è ingannevolmente fluida e instabile. Nella maggior parte dei brani, raffiche di percussioni, a volte acustiche, a volte sfocate di rumore digitale, si raggruppano in piccole sacche di intervalli e caos. La tromba di Hassell è al centro di tutto, irriconoscibile come tutto il resto. Le sue elaborate catene di effetti creano suoni simili a discorsi e il suo tono spesso viene sopraffatto dal suono del suo respiro.

Tutto nasce con Fourth World, vol. 1: Possible Musics (1980), in collaborazione con Brian Eno registrato al Celestial Sounds di New York. Scaruffi afferma che Brian Eno e David Byrne gli rubarono l’idea di My Life In The Bush Of Ghosts (1981), questo ha convinto Hassell ad abbandonare la ribalta art-pop-rock per ritornare nella pensosa oscurità dell’avanguardia. 

Amico di Terry Riley ha suonato anche nel suo seminale In C.

Dream Theory In Malaya: Fourth World Volume Two (EG, 1981) è un concentrato di idee antropologiche e cosmologiche, una fusione felicissima di musiche da camera del mondo per tromba elettronica e voci a partire dalla teoria dei sogni degli aborigeni della Malesia facendo musica del loro stesso habitat. Il titolo proviene da un articolo dell’antropologo-etnologo visionario Kilton Riggs Stewart che nel 1935 visitò una tribù sugli altopiani di aborigeni malesi, i Senoi, la cui felicità e benessere erano chiaramente connessi alla loro abitudine mattutina di raccontare i sogni in famiglia e rielaborarli nella vita di tutti i giorni. Così l’incubo di un bambino che sognava di sprofondare veniva elogiato quale dono per imparare a volare la notte successiva e dove una canzone o una danza onirica venivano insegnate a una tribù vicina così da creare un legame comune al di là delle differenze di costume. Una delle tribù che vivevano nelle vicinanze ma in regioni paludose, i Semelai, praticavano l’arte di schizzare l’acqua con le mani per creare una musica ritmica. Hassell aveva ascoltato le registrazioni di questo rituale da una pubblicazione della BBC – il libro Primitive Peoples accompagnato da un disco in vinile – e lo ha poi usato come “guida tematica per l’intera registrazione”, in particolare il brano Malay. Hassell riadatta quindi il frammento registrato di quel loro gioioso ritmo danzante così da trasformarlo nella forza generatrice della composizione, oltre a fornire una guida tematica per l’intera registrazione.

Dream Theory In Malaya deve molto al minimalismo di Riley, è una riflessione musicale profonda sui suoni naturali da cui origina il mondo primordiale, cioè i suoni con cui le popolazioni indigene delle giungle come del Bush australiano sono in risonanza da millenni.

Consiglio vivamente la lettura de Le Vie dei Canti di Chatwin per comprendere meglio il primitivismo allucinato di altre ancestrali, conturbanti teorie del sogno.

Aka/Darbari/Java: Magic Realism (Eg, 1983) continua la scia di meditazioni, elaborazioni e flussi sonori articolati in Dream Theory, con un taglio ancora più sistematico e l’utilizzo del computer così da rendere ancora più inquieti/inquietanti i contrasti tra i mondi naturali e le civiltà perdute a confronto con la contemporaneità predominata dalla Tecno-Scienza. David Toop in Oceano di Suono parla di etnopoetica.

Così John Hassell spiega il Realismo Magico:

“Come la tecnica video del “Chroma key” dove qualsiasi sfondo può essere inserito o cancellato elettronicamente a prescindere dal “primo piano”, così la capacità di portare il suono reale delle musiche di varie epoche e origini geografiche tutte insieme nella stessa cornice compositiva segna un punto di svolta nella storia.

Una tromba, ramificata in un coro di trombe dal computer, traccia i motivi del raga indiano DARBARI su percussioni senegalesi registrate a Parigi e un mosaico di sottofondo di momenti congelati da un’esotica orchestrazione hollywoodiana degli anni ’50 [una trama sonora come fosse una “Mona Lisa” che, in primo piano, si rivela composta da minuscole riproduzioni del Taj Mahal], mentre l’antico richiamo di una voce pigmea AKA nella foresta pluviale centrafricana — trasposto per muoversi in sequenze di accordi inaudite fino al XX secolo — sale e scende tra cascate simili al gamelan dell’Indonesia, moltiplicazioni di un’unica “istantanea digitale” di uno strumento tradizionale suonato sull’isola di JAVA, dall’altra parte del mondo.

La musica che è fino a questo punto autoreferenziale, in cui parti più grandi sono correlate e/o generate da parti più piccole, condivide alcune qualità con la musica classica “bianca” del passato. AKA/DARBARI/JAVA è una proposta per una musica classica “color caffè” del futuro — sia in termini di adozione di modalità completamente nuove di organizzazione strutturale [come potrebbe essere suggerito dalla capacità del computer di riorganizzare, a puntini, un suono o un’immagine video] e in termini di espansione del vocabolario musicale “consentito” in cui si può pronunciare questa struttura – lasciando dietro di sé il volto ascetico che la tradizione eurocentrica è arrivata ad associare all’espressione seria.”

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