Commenti disabilitati su Inno alla Gioia del Quotidiano con Le Piane Maggiorina (Boca) 2013 e i fichi d’India
Le Piane, Maggiorina (Boca) 2013
Succinta definizione di vino quotidiano o almeno del mio vino Zen quotidiano: filtra impercettibile in un soffio dalle labbra in gola, s’insinua nell’esofago con l’impalpabilità del guizzo d’un’anguilla, inzuppa le mucose senza spugnarle, trascina con sé nel suo corso a valle dello stomaco i detriti solidi e i ciottoli di cibo, è ruscelletto d’alta montagna in una bottiglia – sempre troppo poca – che canta in bocca, squilla sulla pancia, vibra nelle fibre, arpeggia le vertebre, risuona quieto intorno al cuore.
An die Freude
Assieme alla raccolta a metà agosto dei primi fichi d’India spontanei per la campagna assolata si celebra così l’Inno alla Gioia dell’Estate.
Commenti disabilitati su Massa Vecchia Bianco 2005. Niccolaini e la Successione di Fibonacci
La successione di Fibonacci è una sequenza di numeri interi positivi in cui ciascun numero è la somma dei due precedenti ad infinito:
• luce,
• luce,
• luce, pietra,
• luce, pietra, sostanza,
• luce, pietra, sostanza, sudore, cognizione,
• luce, pietra, sostanza, sudore, cognizione, bontà, fusione, gioiadivivere.. (∞)
Questo è il Massa Vecchia Bianco 2005 (70% Vermentino + 15% Sauvignon + 15% Malvasia di Candia) o della Sezione Aurea del vino buono fatto dall’uva sana e dalle mani consapevoli d’un uomo, d’un contadino duro e puro radicato alla Maremma più verace.
Commenti disabilitati su Georges Didi-Huberman, L’Invenzione dell’Isteria (Marietti 1820)
Georges Didi-Huberman, L’Invenzione dell’Isteria. Charcot e l’Iconografia Fotografica della Salpêtrière, Casa Editrice Marietti, Genova-Milano 2008 (titolo originale: Invention de l’histérie. Charcot et l’Iconographie photographique de la Salpêtrière, Editions Macula, Paris 1982 – traduzione Enrica Manfredotti)
Commenti disabilitati su Podere il Palazzino “Grosso Sanese” Chianti Classico 2008
Podere il Palazzino “Grosso Sanese” Chianti Classico 2008 su carnaroli, cicoria di campo, pomodorini secchi e freschi, scalogno, extravergine a crudo, una noce di buon burro.Il vino rosso d’accompagnamento al riso, appena versato nel bicchiere addolcisce le piacevoli amarezze salivate dalla cicoria mentre rimbomba come un temporale tra le montagne. Montagne di boschi inviolati da cui alita una brezza frescolina che s’appiccica resinosa alla pelle, rianimando all’istante: fiori di basilico e di rosmarino, mentuccia e finocchietto selvatici, porcini, corteccia d’abete. Quasi poi che la mano invisibile ma risoluta d’una divinità dell’uva benefica spuntasse dalle nubi michelangiolesca, sbriciolando fra le dita un paio d’ettari d’alberese, galestro e sangiovese a Monti in Chianti; spremitura tra cielo e terra di qualche botte beata della Toscana più umana e possibilmente meno maledetta. È una divinità benevola difatti, rassicurante, leale, chiantigianese.. ed è subito Grosso Sanese 2008.
Le vite mediocri di giovani artisti senza talento che riscoprono le poesie d’un vecchio impiegato mediocre, un “povero diavolo” tragicomico e privo di talento quanto loro.
Dagli archivi di Cambridge un inedito di Schnitzler che emerge grandioso, crudele e fresco come una rosa dopo oltre un secolo offrendo ancora oggi lo spunto per riflettere sulla compassione, il successo, la vanità dell’arte a vuoto contrapposta al grigiore d’un’esistenza borghese.
Commenti disabilitati su Intervistato dai Bambini sul Senso del Vino
Interrogato a tappeto dai bambini sul perché del vino. Alcune delle domande cui sono stato sottoposto dai piccoli Matilde e Archimede. Al fondo della pagina virtuale, abbozzo dei tentativi di risposta in rosso all’interrogatorio dei bimbetti:
• Why kids can’t drink? • How do you know if the wine is good or not?
Da Beirut a Roma Ostiense, la piccola Matilde e il piccolo Archimede mi sottopongono un questionario di spietata, potente e onesta semplicità.
Interrogativi a bruciapelo, domande crude, concise e complicatissime nella loro spontanea asciuttezza che scatenano questioni talmente elevate, inesauribili possibilità di ragionamento, argomentazioni progressive a perdifiato da suscitare senso di vertigine e mal di stomaco.Sono domande cristalline che spalancano un mondo di problematiche disarmanti, incertezze senza via d’uscita a cui – tentando anch’io d’esprimere in tutta onestà ma invano il mio sguardo relativista sui quesiti posti – non posso che abborracciare risposte lacunose che risuonano infime alle mie stesse orecchie. Così improvviso spiegazioni generiche. Imbastisco fiacche dimostrazioni di comodo.
Siamo troppo sperduti nel labirinto della vita sociale adulta, sommersa di risposte insensate a domande altrettanto inutili, per restare al passo con la trasparenza infallibile dei bimbi che – ancora fuori dal labirinto della società – ci pongono domande essenziali ed esigono prove efficaci, chiedono risposte decisive e utili così come utile ed efficace fu a Teseo il filo d’Arianna per portare il culo in salvo dal Minotauro.
• I bambini non possono bere perché l’alcol farebbe male allo sviluppo della loro crescita mentale, emotiva e fisica.
• Presumo di capire che un vino è buono e mi piace se innanzitutto conosco:
Chi il vino l’ha fatto (confidenza/conoscenza col produttore);
Come lo ha fatto (cognizione di causa sulle tecniche enologiche e le pratiche vitivinicole);
Dove lo ha fatto (terreni e lavoratori della terra, tradizioni agricole, clima, comunità, economia, cultura locale).
Commenti disabilitati su Paesi Tuoi. Riflessioni a latere dell’Acquisizione Vietti Con Lettera Aperta di Craig Perman
“Su dieci persone che parlano di noi, nove ne dicono male, e spesso la sola persona che ne dice bene lo dice male.” Conte di Rivarol
All’indomani dall’acquisizione di Vietti da parte di una società americana Krause Holdings Inc., le polemiche, i pettegolezzi, i cicalecci si sono propagati all’impazzata tra i media e i social che di tutto questo chiacchiericcio superficiale ci campa e fa campare. Come sempre accade in questi casi erano tutti a dir la loro – soprattutto chi ha ben poco da dire, i più accaniti – tanto per dar fiato alle trombe stonate. Ognuno portatore di una sua generica e impersonale visione del mondo, di una sua privata e alquanto inutile verità sviscerata come in un coro da stadio.
Era tutto un narcisistico fiorire di paladini della purezza, di templari della tradizione, d’apocalittici ma ben integrati promotori della conservazione, di moralistici osteggiatori del cambiamento, d’incorruttibili sostenitori dell’indifferenza al denaro, anche se, ne sono quasi certo, trattasi magari di tutta gentucola grama che si venderebbe anche la nonna al Bingo per un paio di centinaia d’euro di pubblicità o ha già affidato l’anima al diavolo pur di vedere la propria firma apposta su un quotidiano nazionale. Insomma tanti leoni autoreferenziali a parole ma tutti un solo gregge di pecoroni, sia a fatti che nel cuore.
Allarmismo alle stelle per la vendita agli americani, apprensione non propriamente disinteressata su tutti i fronti per l’innocenza perduta come lasciava presagire fin dal mesto titolo Galloni in un suo pezzo The end of the innocence, manco fosse la lettera colma di risentimenti e delusioni sovraeccitate dell’amante appena scaricato.
Non mi capacito davvero di tutto questo panico ipocrita da millenaristi fuori tempo massimo quando ormai sono anni che abbiamo svenduto il Colosseo ai cinesi e se continua così molto a breve anche Pompei, la Valle dei Templi d’Agrigento, Paestum, le Dolomiti saranno senz’altro messe all’asta al miglior offerente d’Abu Dhabi, di Singapore o di Mosca. Insomma, qua la vera questione è l’assenza onnipresente – o l’onnipresente assenza – di uno Stato che non garantisce e non tutela alcun tipo di protezione ai suoi stessi abitanti, sudditi sordomuti che esistono o devono far finta di esistere solo in qualità di contribuenti solvibili e nella misura in cui sovvenzionano uno sterminato scatafascio di tasse senza nessunissimo servizio in cambio neppure a buon rendere.
Un burocratico stato canaglia verso i suoi stessi cittadini, smisurato Leviatano a forma di vorace agenzia delle entrate che ti subissa di cavillosi incartamenti mentre incamera, mai sazio, solo contributi, sanzioni, imposte, dazi e canoni “a babbo morto”.
Questo lo stato italiano che sta sempre più azzerando l’orgoglio d’appartenenza privato, sterilizzando sul nascere la volontà d’impresa nazionale dei suoi migliori soggetti aventi diritto di voto. Uno stato in cui la norma sta sempre più diventando che devi lavorare come un servo della gleba per ripagarti il miracolo che stai appunto lavorando come servo della gleba. È allora in questo inquietante scenario macrosociale, politico ed economico che s’incornicia il quadro (quadro sia pubblico che privato) della vendita di Vietti. Una vendita virtuosa alla fin fine, ponderata in ogni dettaglio. Una giusta e giustificabile vendita al fine di far sempre più e meglio e che rispecchia cioè l’intraprendenza, lo spirito d’iniziativa, la dignità aziendale di una famiglia che per tentare di proteggere quanto più possibile i propri beni privati (vino, lavoro, vigne, terreni, figli, generazioni future), al fine di difendere la qualità di produzione e la produzione della qualità pubblica a livelli sempre più eccelsi e affidabili, ha pensato bene di trovare un investitore esterno sicuramente illuminato e auspicabilmente poco invasivo. Senz’altro una partnership (non nutro alcun dubbio su ciò) meno oscurantista, oppressiva ed invadente dello stesso Stato padre-padrone che ti rema sempre e comunque continuamente contro a prescindere. Questo insidioso Stato italiano ahimè in cui sempre più moriamo fuori e dentro, al suono ogni giorno più bugiardo e avverso di quello che avrebbe invece dovuto essere – almeno sulla carta – un principio fondamentale della costituzione: L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
Presento a seguire in rosso la mia traduzione di una lettera aperta di Craig Perman importatore di vini a Chicago dell’omonima Perman Wine Selections. Le parole e i ragionamenti argomentati da Perman mi pare riportino i toni dell’acquisizione dell’azienda vinicola da parte della holding statunitense su un piano molto più empirico e coi piedi ben saldi al suolo perché sono i piedi di un mercante di vino casomai nel frattempo ci fossimo dimenticati che alla fine della fiera il vino è spiritualità e poesia della terra certo, ma senza soldi, senza mercato e senza compra-vendite non si cantano né messe né poemi.
Ciao,
Nella storia della Perman Wine Selections, non mi è mai capitato di scrivere una lettera ai miei clienti così come faccio ora.
Gli acquirenti di Perman sanno quanto adoro il Piemonte al nord-ovest dell’Italia.
Sono stato fortunato ad avere la possibilità di viaggiare ampiamente attraverso questa regione ed intrecciare rapporti di lunga durata con alcuni dei suoi migliori viticoltori.
La maggior parte dei miei clienti non avrà bisogno di leggere la seguente e-mail, ma per coloro che seguono da vicino la nostra attività, ho scritto questa lettera per affrontare la recente vendita di una cantina che abbiamo sostenuto per anni e continueremo a sostenere per molti anni a venire: Vietti di Castiglione Falletto nella zona del Barolo.
Questa storia è stata prematuramente fatta trapelare dai media e da allora si sono moltiplicati articoli post di Facebook e chiacchiere varie.
Qui di seguito il mio pensiero.
Grazie a tutti i grandi sostenitori di Vietti, Craig
Vietti
===
A questo punto, la “vendita” di Vietti in Piemonte, la “partnership” o come altro volete chiamarla, è stata discussa fino alla nausea.
Dopo aver letto un sacco di commenti da parte di professionisti del vino, giornalisti, amici, clienti e altri ancora, sono stati messi in risalto alcuni punti che dovrebbero essere discussi ulteriormente in modo da permettere a tutti di comprendere con la propria testa e alla portata di ognuno di noi, i problemi reali emersi.
Così come molti professionisti del vino e consumatori, ho avuto anche io, per oltre 18 anni, l’immenso piacere di conoscere Luca e Elena Currado. Siamo amici. Se sapete qualcosa sulla famiglia Currado sapete che hanno molti amici sparsi in ogni parte del mondo, tutti uniti da una passione comune: il grande vino.
Dunque mi ha particolarmente deluso e sono rimasto molto sorpreso davanti ad alcuni dei discorsi e argomenti che sono venuti alla luce riguardo la vendita della cantina. A parole mie ho voluto affrontare alcune di queste osservazioni perché non credo si fondano su fatti reali ma piuttosto su emozioni e cattive usanze personali.
La vita è in continuo movimento e le cose cambiano continuamente. In un anno di campagna elettorale, non c’era un momento migliore per discutere di ciò. Ad ogni campagna presidenziale la gente diventa più emotiva a causa della possibilità di un forte cambiamento che, a parer loro, influenzerà in positivo o in negativo le loro vite. Quello che è importante notare sull’ondata di questa fase emozionale durante una campagna presidenziale è che nei quattro anni in mezzo al ciclo elettorale, le modifiche sono comunque costantemente in corso, la maggior parte delle quali restano inosservate da quasi tutte le persone.
Io ora non sto qui ad invalidare quelle sensazioni emotive, ma piuttosto voglio sottolineare che le cose cambiano, lo notiamo o no. A volte è solo materiale propagandistico, ma il più delle volte il cambiamento non ottiene attenzione alcuna o nessun risalto di sorta dalla stampa.
Qualsiasi persona che ha viaggiato in Piemonte per anni ha sicuramente notato negli ultimi tempi un cambiamento nel panorama economico della regione. La causa del cambiamento, è la stessa causa che percepiamo in altre regioni vinicole di tutto il mondo. Il vino è popolare!
Il vino non è solo qualcosa che si strozza giù con un pasto, è assurto negli anni a bene di lusso. Ciò non è accaduto in una notte, piuttosto questo cambiamento si è verificato nel corso di più di tre decenni. Con i consumatori disposti e ben felici di spendere dai 40 ai 200 dollari al dettaglio per una singola bottiglia di Barolo era inevitabile che sarebbe avvenuto qualche cambiamento cospicuo nel modo in cui la regione imposta i propri affari.
Come nelle “Casalinghe di Orange County” – nel chiacchiericcio che ha circondato la vendita di Vietti, molte persone hanno sostenuto che questo tipo di acquisizione significava molto più di un semplice cambiamento ma l’apertura del varco agli investimenti stranieri o peggio ancora, l’imposizione quasi per alcune cantine di vendersi al miglior offerente “straniero”. Ora ci sono almeno due problemi che qui devono essere subito discussi.
In primo luogo, cosa rende uno “straniero” tale? Secondo i costumi sociali di alcune persone, un estraneo è qualcuno che non è nato né cresciuto nella regione. Quanto del posto bisogna essere per venir giudicati abbastanza “locali”? Si può nascere a Torino ed essere uno del luogo, o devi necessariamente essere nato e cresciuto a Castiglione Falletto per essere di quel luogo? Quando Oscar Farinetti e Luca Baffigo acquistarono la storica tenuta Fontanafredda, nel 2008, loro cosa erano locali o stranieri? Vi posso subito dire che erano entrambi dei personaggi molto ricchi e niente affatto dei poveri agricoltori, posso anche dirvi che hanno acquistato direttamente da una banca. L’intero concetto di straniero, estraneo, del posto o locale è il frutto di un mentalità molto ristretta, una mentalità vecchia maniera che nel mondo degli affari sta rapidamente facendo il suo tempo. Vi può certamente piacere o potete odiarla, tutti hanno diritto alle loro opinioni e sentimenti, figuriamoci.
La seconda questione che deve essere affrontata è quest’altra: davvero è stata la vendita di Vietti a cominciare il cambiamento? Antonio Galloni in un suo articolo dal titolo drammatico su Vinous “La fine dell’innocenza“, ha sostenuto:
“Chi ti dice che nulla è cambiato sta delirando. Tutto è cambiato. Per sempre. Questa vendita apre la porta per ulteriori acquisizioni che a loro volta faranno salire enormemente i prezzi dei terreni e in ultima analisi porteranno a produrre vini più costosi, il tutto facendo allargare sempre più il divario tra l’artigianale per davvero, le cantine a conduzione familiare e le aziende industriali con possibilità di credito senza fondo. Naturalmente, molta di questa prosperità ritrovata nella regione potrebbe rivelarsi un dato positivo, se correttamente gestito “.
Non c’è stato nessun interruttore della luce acceso all’improvviso come Antonio Galloni ha suggerito, e se lui pensa così, è lui che sta sta farneticando. Otto anni fa Farinetti ha acquistato Fontanafredda e anche Giacomo Borgogno. Forse era quello l’interruttore della luce? Nel febbraio di quest’anno, Ratti, uno dei maggiori e più importanti produttori piemontesi ha firmato un accordo esclusivo di importazione del proprio vino negli Stati Uniti con la Gallo. Ho detto: E. & J. Gallo, una società che ha fondato tutte le proprie fortune sul vino sfuso e che non potrebbe essere azienda più industriale di così neppure se lo volessero..
I cambiamenti in Piemonte non sono semplicemente nuovi ma sono in corso d’opera da almeno vent’anni. La porta proverbiale che Galloni menziona è stata senza dubbio aperta già molti anni fa. I prezzi dei terreni sono aumentati e Vietti ha svolto un ruolo solo marginale in questo passaggio. In realtà gran parte di queste lamentele fatalistiche e implicazioni che vorrebbero Vietti quale innesco di questo processo, non possono essere sostenute fatti alla mano ma sono semplicemente il prodotto dell’ondata emotiva all’indomani dalla vendita.
Quando voglio cercare di comprendere il punto di vista di qualcuno che ha fatto una determinata cosa, cerco sempre di mettermi nei suoi panni. Esattamente quello che ho fatto quando ho sentito parlare della vendita di Vietti. Conosco Luca, e so che è assolutamente appassionato, orgoglioso di fare grandi vini nella sua regione.
A ragionare da uomini d’affari, si è costantemente spinti a fare meglio, ad espandersi su quello che già si sta facendo. Far meglio non ha necessariamente nulla a che fare con il diventare più ricchi, ma ha che fare con l’essere soddisfatti di ciò che si sta creando oltre ad assicurare quanto più a lungo possibile la sostenibilità delle vostre attività ed affari.
Così mi metto nei panni di Luca. Ora sono l’enologo/proprietario di Vietti e voglio fare in modo che Perbacco e “Tre Vigne” Barbera rimangano sempre grandi vini mantenendo sempre il loro prezzo di partenza. La prima cosa che dovrò fare sarà allora quella di fissare il prezzo dell’uva. I miei contratti potrebbero essere in arrivo, e so benissimo che, al fine di acquistare o rinunciare a un contratto, il prezzo dell’uva potrà variare di prezzo venendo a costare molto di più .
L’opzione migliore per me dunque è quella di acquistare la vigna. Ho un po ‘di soldi, ma ho anche bisogno di quei soldi da reinvestire per il mantenimento della cantina. So anche che il personale adatto è cosa molto difficile da mantenere, e ho bisogno di pagare un buono stipendio per assicurarmi dei bravi dipendenti.
Bene, cosa faccio? Voglio comprare alcuni vigneti per mantenere intatta questa fonte. Potrei rivolgermi ad una banca anche se so che i prestiti sono più difficili da trovare di questi tempi. Potrei trovare un investitore per la vigna, ma so che i problemi si verificano sempre con gli investitori, e io non voglio finire coinvolto in una battaglia legale, preferisco lavorare ed essere in vigna.
Vedete dove tutto questo ci sta portando?
Quando il suo contratto d’affitto nel famoso Cru di La Morra “Brunate” si è concluso, fatti due conti, Luca ha acquistato il vigneto. C’è stata una guerra di rilanci e offerte, pur non conoscendo il costo esatto a cui è stata venduta la vigna, è stato sicuramente un prezzo sufficiente a fare in modo che il ritorno dell’investimento iniziale non ci sarà se non dopo un bel po’ di tempo. Una generazione, due generazioni, non ne sono sicuro, e questo è solo un vigneto, solo un esempio.
Brunate è un vino raro, un “Grand Cru” di Barolo che la gente è disposta a pagare molti soldi per averlo, ma che dire invece di Perbacco e “Tre Vigne?” Se compro i vigneti per produrre questi vini mantenendo la stessa struttura dei prezzi invariata, potrei non avere mai e poi mai un ritorno sui costi dell’investimento iniziale.
La realtà oggi in Piemonte è che se non possiedi TUTTI i vigneti, o non hai dalla tua durevoli contratti d’affitto dei vigneti, ti troverai ad affrontare una rincorsa agl’investimenti che non sarai in grado di assolvere per intere generazioni.
Nel suo articolo su Vinous, Galloni suggerisce che Vietti avrebbe dovuto prendere la via già intrapresa da alcuni in Borgogna che hanno introdotto gli investimenti dal di fuori esclusivamente per l’acquisto dei vigneti. Trovo essere questo suggerimento del tutto ipocrita e di mentalità ristretta così come il dibattito straniero/locale. Galloni si è staccato da Robert Parker per mettersi in proprio. Essendo un uomo d’affari, proprio come Luca, ha avuto anche lui una visione per il suo futuro, e nessuno è andato a suggerirgli come avrebbe dovuto finanziare questa sua scelta. Non c’è stato alcun battibecco adolescenziale su chi erano i suoi investitori e come questo abbia potuto o no significare un tragico destino per la critica del vino in futuro. La gente ha accolto positivamente questa sua mossa, lo ha sostenuto nella sua visione contribuendo ad incrementare più successo a questo suo nuovo cambio di rotta.
Così, quando è stata annunciata la vendita Vietti, ho saputo subito che Luca e la sua famiglia, essendo i perfezionisti che sono, persone che amano veramente la loro terra e la loro regione, avrebbero fatto quello che doveva essere fatto pur di raggiungere i loro obiettivi e cioè quello di continuare ad essere una delle migliori cantine del Piemonte.
Alla fine, il cambiamento è sempre qualcosa che ci rende emotivi, ispirandoci la discussione..
La gente del vino dovrebbe sempre ricordare che riguardo la nostra professione stiamo vivendo in un’epoca d’oro. Dobbiamo tutto questo ai nostri clienti che hanno essenzialmente creato queste opportunità che esistono per noi. Se le cose non fossero cambiate e il nostro mercato del vino fosse sempre rimasto lo stesso di com’era 30 anni fa, molti di noi farebbero oggi qualcosa di diverso dalla nostra professione. Non dobbiamo mai dimenticarlo.
Inoltre abbiamo davvero bisogno di pensare con le nostre teste, a parole nostre e discutere a mente aperta quando si tratta di cambiare. Luca, Elena, Mario, Luciana e tutti i membri della famiglia Vietti sono alcune delle persone più belle e generose che abbia mai incontrato. Persone reali. Grandi persone. Mentre alcune persone possono anche pensare che tutto è cambiato, che la tradizione deve essere sempre preferita alla praticità, una cosa che invece so è che la prossima volta che berrò una bottiglia di Vietti, le impronte digitali di queste grandi persone saranno ancora impresse sulla bottiglia, proprio così come è stato per molti anni.
Dobbiamo sostenere le persone buone, persone che favoriscono la qualità alla quantità. Questo è il fondamento della nostra attività nel mondo del vino “di pregio”. La proprietà non ha nulla a che fare con questo valore fondamentale: la qualità e la gente è tutto ciò che conta.
Ora penso di aver proprio bisogno di un bel bicchiere di Barolo. Barolo di Vietti, ovviamente.
Commenti disabilitati su Ornina 2012 e Calzone ripieno con Insalata di Pantelleria
Calzone della settimana da Farinè con ripieno di insalata pantesca.. attention please, potrebbe provocare tossicodipendenza istantanea.
C’abbiamo abbinato l’Ornina Wine 2012 (Sangiovese e Malvasia Nera) dell’amico Marco Biagioli, per la mia esperienza una delle bottiglie più felici di sempre dell’azienda casentinese che ha tra l’altro appena inaugurato la nuova cantina.
Un campetto d’origano spontaneo, della lavanda in fiore, alberi di gelsi neri fusi a una pineta sopra una scogliera chiazzata di capperi selvatici, il tutto poi ben strizzato goccia a goccia dentro la bottiglia definiscono quel che risulta essere un vero e proprio gioiellino di vino: un rosso unguento dissetante e prezioso sia all’esofago che all’encefalo. Miracolo terrestre d’abbinamento cibo/vino! Anche su pizza con provola affumicata, pomodori cuore di bue e pesto di basilico il vino scendeva giù una meraviglia anzi anche troppo, che in tre non si è neppure avuto il tempo di brindare alla salute d’ognuno di noi, i calici alzati a salutare l’inizio dell’estate… che il vino era già bello che finito felicemente a rinfrescarci il gargarozzo.
Commenti disabilitati su Fakebook l’Ipocrisia il Buonismo e la Censura Maniaco-Depressivo-Sessuofobica
“Stercus, Stercus, Stercus, Morituri Sum.”
Dal vino convenzionale al vino naturale al vino naturista è sempre e solo una questione di quanto ci si cali le brache dinanzi al Dio Denaro.
Ma quanto disagio mentale, quanta povertà subumana, quanti abissi d’ottusità in circolazione fuori e dentro al World Wide Web. Se non è a causa di un algoritmo automatico di filtro delle oscenità omologate, qualche povero mentecatto o mentecatta sulla mia bacheca FB ha pensato bene di segnalare una foto banale di Spencer Tunick con inermi corpi nudi d’uomini e donne in una vigna che, per i parametri troppo paraculi, ipocriti, trogloditi, filistei e oscenamente perbenisti di Fuckbook non rientravano nella norma.
Altro spunto di riflessione inquietante riguarda il sistema iperconnesso che fa acqua da tutti i lati. Un meccanismo orwelliano di controllori, segnalatori e vigilantes, un vero e proprio buco nero nella Rete finto-democratica del social più diffuso in occidente per cui a Domino Effect chiunque può disnteressatamente segnalare chiunque a casaccio o segnalarlo per qualche preciso scopo interessato, sottoponendolo all’Inquisizione d’una sottocomunità di controllori e amministratori che a loro volta – in questo immane calderone e Castello Kafkiano di carta – sono segnalati, controllati e amministrati, ma alla fin fine amministrati e controllati secondo quali criteri obiettivi, regole pubbliche, norme trasparenti e soprattutto a discrezione di chi?
Ora, pare qui manifesta la contraddizione stridente e l’assoluta disonestà di fondo di una società social-connessa sessuofoba a chiacchiere e maniaca-sessuale nella realtà. Una società globale benpensante che censura un disegno erotico di Picasso o la fotografia artistica di un professionista per preservare la propria coscienza sporca di sangue e merda digitale con il pretesto di difendere la pseudo-innocenza dei propri adolescenti che comunque smanettano mattina e sera su Youporn. Milioni e milioni di ragazzetti, adolescenti e adulti che si spippano a manetta su chatroulette o si rigirano l’un l’altro selfies dettagliati dei propri apparati genitali via snapchat. Ritengo insomma che dei sani parametri di filtro delle oscenità offensive la morale pubblica (ma stiamo davvero scherzando? Nel 2016 diocristo!) dovrebbero oggi essere verificati più seriamente attraverso google-images ad esempio, per determinare la fonte artistica, estetica e culturale di una data immagine evitando possibilmente di mettere sullo stesso livello il Gabinetto Segreto di Pompei custodito al Museo Archeologico di Napoli, un’illustrazione erotica di Kitagawa Utamaro, una foto di cazzi in erezione di Robert Mapplethorpe, un nudo femminile di Helmut Newton o una qualsiasi gang-bang di Sasha Grey, Valentina Nappi o Ashley Blue – comunque a mio avviso pregevolissimo intreccio pornografico di corpi fotterecci in vendita questi ultimi, manifestazione bassa ma assai più onesta dello zeitgeist (lo spirito del tempo) da III millenio, espressione viscerale molto più dignitosa ed esplicita metafora socio-economica dei nostri corpi usati ed abusati dalla Macroeconomia delle Multinazionali piuttosto che le tante insopportabili Gallerie d’arte à la page e finto-artistoidi-cazzari che tappezzano le pareti di musei e centri culturali del mondo con le loro spazzature di croste insensate spacciate per arte, pensiero e cultura alta.
Ad ogni modo sull’immagine di Tunick nel mio post censurato, detto en passent, poco mi tange del suo intrinseco, sopravvalutato o falsato valore estetico. Valore che anzi trovo addirittura aleatorio ovvero pretestuoso e forzato così come la stragrande maggioranza della cosiddetta Arte Contemporanea, ma ciò non giustifica certo la sua cancellazione autoritaria con simultanea rimozione e blocco di 24 ore del profilo facebook senza neppure un democratico preavviso, cosa che ritengo essere un illegittimo atto di forza e un sopruso bell’e buono.
Odio parlare di me e detesto ogni forma di autoreferenzialità. Questo a seguire però era il tono del post “bannato” con foto originale e foto ritoccata su quei punti del corpo ritenuti osceni – la protuberanza più o meno lunga e spessa dell’apparato riproduttivo maschile e qualche tetta di varie taglie – si perché secondo Facebook, secondo le tare cerebrali disturbatissime dello strafottuto cavernicolo urbano di segnalatore anonimo, qui il corpo del reato è il corpo umano medesimo.
Tanto basilico, olio extravergine d’oliva e pomodorini mantecati a crudo.
Il vino che accompagna lo spaghetto è uno champagne proveniente da Ambonnay. Champagne della viticultrice Marie-Noëlle Ledru detta anche la Signora del Pinot Nero la cui filosofia produttiva si sintetizza nell’adagio semplice ma effettivo e concreto: Massimo rispetto per la Natura.
Si tratta qui di un Blanc de Noirs Cuvée du Goulté Grand Cru 2010 dai cinque ettari di proprietà collocati nella regione detta La Montagne de Reims. I millesimati come in questo caso, stanno 5 anni in contatto sui lieviti e durante la fase di sboccatura il vino non è solfitato; sboccatura che oltretutto è fatta a mano per ogni bottiglia così come avveniva qualche generazione fa, almeno nelle aziende più a respiro umano e a conduzione familiare. Nel connubio con la sostanziosità dello spaghetto, con la dolcezza acidula del pomodorino mantecato a crudo e la scricchiolante freschezza del basilico aggregati in un tipudio di sferica semplicità, l’effetto frizzante dello champagne fluidifica a pieni bocconi quest’insieme scatenando all’istante la sensazione di mangiare bere e digerire allo stesso tempo e nello spazio di alcune forchettate amalgamate al sorseggio.
Commenti disabilitati su Grissini Mortadella Tappi Legni Acqua e Qualche Buon Vino
Serata di piacere ma soprattutto di decifrazione perenne del vino quale ossessivo oggetto di studio, stimolo di elevate meditazioni e campo magnetico di ragionamenti fitti senza fine; un campo minato per davvero, attraversato assieme ad alcuni cari amici d’annasata, sorseggio ed eventuale sputaggio.
Nonostante si discuta e si parlerà esclusivamente di vino, mi sovvengono qui non a caso le parole che Gaston Bachelard da buon vecchio filosofo empirico e acuto osservatore della natura dedicava all’acqua. L’acqua origine della vita, sorgente del mondo, foce profonda dell’immaginazione creatrice. Anche perché più che polvere, acqua siamo e acqua torneremo.
È vicino all’acqua che ho meglio compreso che il fantasticare è un universo in espansione, un soffio di odori che fuoriesce dalle cose per mezzo di una persona che sogna. Gaston Bachelard
Domaine Ramonet – Chassagne-Montrachet Premier Cru “Boudriotte” 1998
[Già al tappo sentori di zucchero caramellato e melassa acetosa. Nel calice l’ossidazione temuta non si smentisce né al naso né tantomeno al palato e difatti si fa fatica a buttarne giù anche un mezzo bicchiere ed è proprio lì nel bicchiere che rimane prima di altra più consona destinazione cioè la sputacchiera che detta in francese suona forse un po’ meno irriguardoso e più elegante: crachoir.]
[Volgarissimo centrifugato di legni nuovi tostati ai fuochi fatui del cimitero della fragranza nel vino. Uve verdi raccolte crude, questa l’impressione duratura dall’inizio alla fine. Sensazione terminale – sì proprio “terminale” come si direbbe di un malato moribondo sul letto d’ospedale – di vernice grossa e grassa appena spennellata sugl’acini: anche qui sputacchiera o crachoir, fate voi.]
[Cambia il terroir, cambia l’appellation, cambia la mano del produttore, cambiano le vigne ma come nel precedente Domaine Niellon stessa volgarotta paccottiglia di legno e uve stracotte ammandorlate assieme. Ultra-barriccaggio della materia vinosa fino a bruciarne l’essenza al punto da buttar via così tutto il bambino con l’acqua sporca. Uno si aspetta di bere del vino bianco rinfrescante e vivo non un decotto di burro d’arachidi arso su padella e imbottigliato; non un infame infuso di zucchero caramellato al sentore di disboscamento e tronchi d’albero sventrati di fresco. Sputacchiera anche in questo caso ahimè, come nei precedenti due.]
{[Nella parentesi graffa che non chiuderò, è contenuta una bestemmia tacita, invisibile e lunga un paio di centinaia di pitagorici chilometri moltiplicati alla radice quadrata di due (√2), così, tanto per dare sfogo alla rancura di ritrovarsi dinanzi alle fetenzie puzzolenti d’un tappo fungino – cioè contaminato di (TCA) tricloroanisolo maledetto-in-culo. E mannaggia a Dioniso, questo Silex doveva essere, almeno nell’aspettativa di pre-apertura bocce e nei ricordi di alcune bevute precedenti della ’99, forse il vino più splendido-splendente della serata..]
André Beaufort Champagne (Ambonnay) – Brut Grand Cru Millésime 1996
[Finalmente della buona, verace, vecchia freschezza propria alle uve sane al loro giusto grado di maturazione atte ad essere spumantizzate. Fragranza liquida, croccantezza di frutto, fluidità di bolla spessa e compatta. Beva felice. Trasfigurato senso – ma ben venga – di amena ciclicità dell’esistenza vegetale, umana, animale, minerale, esistenza ciclica degli oggetti tutti. Una dissetante, limpida energia luminosa che sgorga dal calice fino alle estremità della gola dove esplode potente tipo fronte delle cascate Vittoria confluendo dallo stomaco alla mente in tutta sincerità, brio e scorrevolezza. Sboccatura dell’Aprile 2015, il ricorso alla sputacchiera, è immaginabile, in questo caso non è affatto consentito o meglio non è neppure agognato come negli altri vini snocciolati fin qua.]
[Non ho, meglio, credo non avevamo e non abbiamo dubbi ma è questo il vino della serata. Vibra dolceamaro al palato, una pomiciata impetuosa con morsi e risucchi sulla lingua tra le tue labbra e il vino succulento: femme fatale lunatica e lunare rivestita di salsedine, di tralci, d’acini e foglie di vite. Le Bourg è parcella di un ettaro che accoglie vigne quasi centenarie di cabernet franc.. Il Cabernet Franc della Loira che dai preliminari, le carezze e i baci febbrili passa subito ai fatti strizzandoti e travolgendoti nel suo dominio disinibito di possessione e appagamento dei sensi. Su pasta al pesto rosso mediterraneo della Taverna Pane e Vino a Cortona.]
Mme. François De Montille – Volnay Premier Cru “Les Champans” 1973
[Bevuto alla cieca. Il colore vivo, l’agrume rosso sanguigno, una trama tannica per nulla spenta e l’acidità spiccata facevano pensare ad un sangiovese chiantigiano d’altezza elevata, a un nebbiolo d’alta Langa con i suoi richiami mentolati e screziati di liquirizia, ma avresti difficilmente pensato ad un Pinot Nero di Borgogna con oltre quarant’anni sul groppone. Certo – è questa ormai la prova provata dall’esperienza di bevitore tignoso e smaliziato – ma le terziarizzazioni tendono ad omologare lo spettro olfattivo-gustativo d’ogni buon vino da invecchiamento già dopo qualche decennio, quadrando sempre un po’ il cerchio tra i tre supremi vitigni del caso, ovvero: Sangiovese, Pinot Nero e Nebbiolo. L’Annata ’73 in Borgogna come a Bordeaux è risultata essere particolarmente insulsa, anonima e magra eppure di tutta la batteria assieme al Clos Rougeard ’07 di cui sopra, è proprio questo Volnay il vino che più ha appagato la scia umorale di vuoto vertiginoso e amara inquietudine spalancatasi sotto i nostri piedi dai primi quattro vini sversati tristemente nel crachoir.]
[Anche questo alla cieca, ma per una svista sulla scaletta di presentazione è venuto subito dopo il Volnay e il Clos Rougeard per cui non è stato apprezzato nella misura appropriata come avrebbe dovuto essere se fosse stato servito ad esempio subito dopo i primi bianchi derelitti. Ritengo necessario rimarcare quanto riportato in retroetichetta* dalla Madame. È un vero e proprio manifesto d’onestà produttiva intellettuale che ha ormai fatto scuola e di cui riporto a seguire lo stralcio più significativo: “Questo vino, nel corso della sua evoluzione naturale in bottiglia, presenta o presenterà un giorno un deposito nobile e naturale nel fondo. È questo un segno della vita del vino in bottiglia. Voler evitare questo deposito attraverso filtrazioni o altro, vuol dire rimuovere dal vino la sua stessa vita ed una gran parte delle sue intrinseche qualita.“ *Traduz. mia.]
Domaine Robert Chevillon – Nuits-Saint-Georges “Les Cailles” Premier Cru 1976
[Alla cieca anche questa. Nessun riferimento di sorta. Sfuggente, nullo e acciaccato già al naso. Il Domaine ha una storia che origina dai primi del ‘900 ed è stato per me la prima volta che l’assaggiavo. L’annata ’76 con un’estate molto calda, sembrerebbe essere di quelle eccessivamente tanniche e squilibrate. Vuoi il mantenimento della bottiglia, vuoi la tenuta del tappo ormai tutto rinsecchito – sono pure passati quasi quaranta anni mica era ieri – ma il vino non era più materia viva neppure da poter comprendere di testa, gustare con il cuore, recepire con tutti i sensi, decifrare ad istinto.]
Castello Poggio alle Mura Brunello di Montalcino 1964
[Prima che venisse fagocitato dall’ingombrante mastodonte enologico Banfi. Il vino come se non addirittura peggio che nel precedente Nuits-Saint-Georges, si presentava nel calice come cosa piatta, materia inerte, sostanza ormai morta, alga marina prosciugata sulla riva. Resta solo l’amaro di mandorle stantie in bocca e al naso persiste quel tipico sentore pungente di stracci intrisi d’acqua stagna sovrapposto all’aroma acre di cartoni impregnati dalle muffe di grotta. Nient’altro da aggiungere a parte che – discorso valido per tutti i vini più vecchiotti e ragionamento lucido riportato da Madame Leroy nella medesima etichetta di poco fa – mi piacerebbe riassaggiarlo da una bottiglia mantenuta immobile per oltre mezzo secolo nella stessa cantina a temperatura costante così da ritrovarsi a stappare magari un sughero meno striminzito e chissà, a bere forse un vino fresco e vivo e non un liquame rattrappito e polverizzato come il tappo che avrebbe dovuto preservarlo.
A corollario di questa riflessione finale aggiungo pure che non è certo il principio di vanagloria fondamentale e intento ideale di ogni produttore di vino quello di creare una bevanda che perduri decenni o affini per secoli, ma semplicemente quello di imbottigliare dei vini che durino finché ce la fanno a seconda del caso o di variabili scostanti ed incotrollabili per cui – è la dura legge fisica della nascita e della morte – ci si può ritrovare davanti a dei vecchi vini maturati miracolosamente in bottiglia o, come molto più spesso capita, a della scura brodaglia imbevuta d’aceto.]
Commenti disabilitati su Cav. Lorenzo Accomasso – Barolo Riserva Vigneto Rocchette 2006
Nell’ora in cui la luce cede al buio, il firmamento dei pori sulla pelle riprende a respirare.
Annottando anche il cielo è più schiuso, tridimensionale. Il luccichio d’ogni stella che traspare è la capocchia d’uno spillo mentre punge i sentimenti dei mortali: maschi e femmine a due gambe che altro non siamo, gramigna molesta d’una sola stagione, fumo negl’occhi a un Dio che non c’è e mai c’è stato.
Evviva allora il Barolo Riserva Vigneto Rocchette del Cavalier Accomasso, calore fugace d’una vibrazione che passa e finisce, riflesso lunare sull’addome d’una cicala sospesa alla spiga di grano dentro a un campo lontano.