Divagazioni intorno a un fondo di Rairon 2007
Celebrazione non reazionaria della civiltà contadina. Il vino senza tempo dell’Eugè in Oltrepò.
Il vino, fuori della civiltà contadina, vale meno di niente! È veleno addizionato di zucchero. È miele inacidito. È lardo rancido. È latte avariato. È un succo aspro, secco, indigeribile.
A proposito di vini che dell’ossidazione se ne sbattono altamente le palle. Vini cioè che non temono il degrado causato dal contatto con l’ossigeno proprio perché sono vini connaturati d’ossigeno. Vini assuefatti ovvero temprati e fusi all’aria viva già all’origine fin dalle delicate fasi pre-fermentative, andando avanti, severi e sdegnosi, per tutto il processo di fermentazione, affinamento, vetro. Vini che assumono quasi la scontrosa fierezza, la sicurezza di sé di un gentiluomo di campagna. Ecco, questa bottiglia di Rairon 2007 Podere il Santo a Rivanazzano in provincia di Pavia, è stata aperta il 27 dicembre scorso a pranzo.
Oggi, 2 febbraio 2019, dopo 37 giorni che l’avevo imboscata in un angolino fresco della cucina, la ristappo e ne scolo le ultime due dita rimaste, masticandone con avidità tra lingua e palato. Ciucciandone anche un po’ dei residui pulviscolari gustosi di humus, depositati al fondo del bicchiere. Accompagno i sorsi dell’Uva Rara per la gran parte in assemblaggio a una minore percentuale di Barbera, con qualche mozzico della pizza rustica casalinga ai broccoletti, ricetta della nonna materna.
Eugenio Barbieri, l’Eugè, è un vignaiolo dal rigore antico. Maniacale quasi fino all’ossessione. Perfezionista imperterrito. Intransigente innanzitutto con se stesso. Rispettoso all’estremo del contesto rurale atavico a cui è ben consapevole di appartenere in Oltrepò. Pure se nello sguardo scintilla, a tratti, una dolceamarezza atavica, anch’essa. Un lampo lontano di dolore, di fatiche, di gioie, d’intensità, di nostalgie azzurrine. Un luccichio d’ombre che testimonia, inesorabile, il tramonto della civiltà contadina. Pacato ma definitivo tramonto ahimè, nonostante in questo vino ho voluto riscontrarci senza forzature il respiro vivido, le freschezze di un’aurora primaverile indovinata tra gl’intrichi dei rami, rovi e fogliame in un bosco fitto.
Evviva la civiltà contadina. Evviva l’Eugè, vignaiolo e uomo ben più raro della stessa fiammella d’uva da lui accudita così come si proteggerebbe un sacro fuoco, il fuoco sacro della concentrazione interiore.