Fotografie del vecchio mondo nuovo
Credo non sia mai uscita una versione di questo film nel nostro paese, ad ogni modo fino a ieri sera non avevo né sentito parlare né mai visto Pictures of the Old World (Obrazy starého sveta) di Dušan Hanák, documentario slovacco del 1972 girato tra i sobborghi e i villaggi dei monti Tatra nelle regioni di Liptov e Orava. Questo vecchio film di Hanák in tutto il suo doloroso immaginario sull’umanità trascurata, brulicante ai bordi della civilizzazione e del progresso tecnologico, sarà apprezzato da molti, non solo da cinefili barbosi e autoreferenziali, come una singolare scoperta del cinema documentaristico dell’Europa orientale.
A distanza di quasi 50 anni dalla sua realizzazione è bello venir stimolati ancora da qualcosa di vecchio che tuttavia riesca a suscitare al presente un gioioso sentimento di novità. Un libro mai letto, un film mai visto, una musica mai ascoltata del passato in fondo sono come scintille di futuro che alimentano il fuoco necessario della curiosità sulle vite altrui, alla presenza attuale del nostro leggere vedere ascoltare il mondo. La potenza spontanea, l’espressività poetica/patetica, la crudezza naïf di questo film germogliano nell’aspro bianco e nero intonato alle fotografie dell’artista slovacco Martin Martinek; all’uso sperimentale del sonoro in chiave disturbante; alla decina di ritratti morbosi d’uomini e donne abbandonati a se stessi o ai propri animali, in un paesaggio di fango, sprofondati nel caos desolante delle proprie credenze, fissazioni e pietose solitudini.
Queste “fotografie del vecchio mondo” da cui traspare in controluce anche il nostro “mondo nuovo” al suo tramonto, ritraggono con compassionevole spietatezza e sottile ironia venata di una certa bizzarria da Est Europa, un’umanità derelitta al culmine della propria vecchiaia. Una decrepitezza sdentata, folle, amara, poco rassicurante ma allo stesso tempo anche dolce, rassegnata, serena. La vecchiaia implacabile del mondo occidentale.
“Il ricco, il povero, lo stupido, il saggio, finiamo tutti sottoterra! Cos’altro possiamo fare a questo mondo?”
Questa è la risposta interrogativa di un vecchietto alla domanda imponderabile posta nel film su “Cosa c’è di più prezioso nella vita?” Un film che sono certo ha ispirato le visioni grandiose seppur senza speranza del regista magiaro Béla Tarr, tra i rarissimi geni viventi del cinema mondiale, autore di capolavori indimenticabili quali Sátántangó e Werckmeister Hármoniák.