“Il vino è il pensiero di chi lo fa.” Josko Gravner
Molto felice di presentare in questo angolo dei Generi Elementari, un ragguaglio di viaggio per vigne condiviso insieme ai compagni d’avventure eno-gastronomiche più affini nei ragionamenti esistenziali, più prossimi nei sentimenti connaturati alla visione vinocentrica del mondo.
L’amico e compaesano Bruno Frisini (il Pozzo dell’Artista), qui, nel pezzo che segue, ha stilato un resoconto compartecipe articolandolo d’immagini e parole che riassumono l’emozione – difficilmente riassumibile – di una intensa giornata vissuta in campagna, in cantina e in casa assieme a Josko Gravner.
La mente profondamente architettonica di Josko, per quel poco che m’è dato d’intuire, progetta vigneti e vini. Costruisce habitat. Edifica ecosistemi viventi. Impianta viti con le radici nel passato più ancestrale ma i grappoli luminosamente proiettati nel futuro lontanissimo, così come un urbanista utopico può essere tanto scrupoloso nel ridisegnare gli spazi di una città situazionista a partire da zero, pianificando ogni dettaglio allo scopo di far funzionare al meglio della civiltà i volumi abitativi, i viali alberati, i parchi verdi, i percorsi ciclabili al buon uso dei cittadini che saranno per questo migliori nello spazio e sempre più – si spera – migliorabili nel tempo.
Gravner a Oslavia: Incredulità e Stupore
La sensazione è di quelle che ti spingono a rimandare, a cercare con te stesso una scusa, un compromesso per non trovarti a fare i conti con qualcosa che già sai essere infinitamente più grande di te. Pensi una parola e immediatamente ti accorgi che potrebbe essercene un’altra decisamente migliore per trasmettere l’emozione che in quei momenti correva lungo la tua schiena e ti permetteva di camminare a un metro da terra, sospeso in una dimensione ultraterrena, in balia di incredulità e stupore.
Il ricordo della giornata è nitido e al tempo sfumato, quasi come se il tempo, non scandito in modo canonico, avesse avvolto quei gesti e quelle parole, rendendoli un tutt’uno inscindibile che rimbalza da una parte all’altra della mia mente in cerca di una collocazione quanto più razionale possibile.
Poggiati corpo e anima per la prima volta su quella terra vengo da subito assalito dalla percezione che calpestandola non sarei mai più riuscito a togliermela da sotto i piedi. Ti si attacca e non ti molla, stringe le tue gambe come fossero radici, la polvere si solleva insieme alle parole che, con il vento a sostenerle, restano nell’aria a danzare e volteggiare davanti i tuoi occhi.Tuttavia la coscienza sa bene che, seppur tremendamente impattante, si tratta di uno sfondo, di una scenografia naturale che va a incorniciare il canovaccio di un’opera che non ha una trama preordinata, ma solo un immenso protagonista.
Josko Gravner: un’etichetta che con il tempo è divenuta vino, poi un’ombra in lontananza e infine sorriso e mani, grandi, grandissime mani che stringono le mie. Sporche di terra e impregnate di vita, tanto basta a rassicurarmi.
Da quell’attimo più nulla è stato come prima. Il giusto preludio di una giornata che ha trasformato in incendio una scintilla.Nemmeno il tempo di focalizzare quanto stesse accadendo, vengo invitato a salire in auto assieme ai miei compagni di avventure. Disorientato accetto l’invito senza domandare quale fosse la meta. La mia d’altronde era proprio lì davanti e non si trattava di un luogo ma di una mente.
Su di un fuoristrada con Josko e Pepi (suo fido amico a quattro zampe) ci dirigiamo verso il “nuovo” sito che da lì a poco sarebbe stato impiantato. Un sito al quale ha cominciato a lavorare dal 1999 dopo averlo riunito, acquistando tante piccole parcelle da contadini locali. Un terreno unico, tipico di Oslavia, prima ancora che del Collio, ricco di marne arenarie di origine eocenica, la cosiddetta “ponca”, frutto di stratificazioni millenarie ricche di sali e microelementi, impronta inconfondibile di vini che inevitabilmente richiamano al più profondo degli istinti primordiali insito in ognuno di noi.
Le prime viti sono state piantate solamente nel 2010, le nuove, nonostante il terreno sia tecnicamente pronto da oltre due anni, ancora sono in attesa che la terra “sia migliore grazie al sovescio”. Questo a dimostrazione di quanto siano fondamentali i tempi nella mente di un visionario in cui il profitto non trova spazio e l’autenticità rappresenta il tutto.
Provo a far mia ogni singola parola, ogni concetto, ogni dettaglio: l’irrigazione come tecnica fuori natura, male assoluto della viticoltura, dannosa e necessaria per chi sceglie terreni non adatti alla coltura della vite. L’acqua tuttavia è elemento indispensabile per garantire un ciclo di vita e quindi una comunità attorno al vigneto, ecco il perché della presenza ai margini di piccoli stagni e pozze d’acqua; la filtrazione e i lieviti selezionati, letali assassini del vino; l’acciaio inossidabile che con le cariche elettriche positive e negative irrita il liquido in esso contenuto. Informazioni che farebbero rabbrividire qualunque scuola enologica ma che in me non fanno altro che accrescere una sconfinata curiosità.
Passeggiando e “ruzzolando” lungo le ripidissime pendenze dei futuri terrazzamenti, vengo sospinto e accompagnato da un continuo e incessante sospiro: il soffio del vento di nord est che instancabile asciuga i vigneti dall’umidità atmosferica. Fattore questo fondamentale, assieme al clima mite dell’Alto Adriatico, per la sana maturazione delle uve.Josko mostra orgoglioso la sua maestosa creatura, prova a prestarci il suo sguardo per qualche minuto ed è in quel momento che sempre più intensamente i miei occhi cominciano a vedere non più la materia ma lo scorrere del tempo. È un crescendo di emozioni che trova il proprio apice nell’istante in cui il numero 7 (da sempre fattore capace di influenzare la mia vita) mi viene presentato come entità rigenerativa, testimone in chiaro scuro dello svolgersi della fragile esistenza umana.
Allontanandoci passo dopo passo provo a ristabilire un contatto più razionale… Non c’è modo migliore che salire in auto con Pepi tutto bagnato!
Arrivati a casa, visitata la cantina e pronto il pranzo, cominciano a sfilare sotto il mio naso i capolavori assoluti di Josko Gravner, il fine ultimo di ogni suo gesto:
* BREG 2009
* BREG 2008
* BREG 2007
* RIBOLLA 2009
* RIBOLLA 2008
* RIBOLLA 2007
* PINOT GRIGIO 2006
* 8.9.10
* DISTILLATO CAPOVILLA A BAGNOMARIA GRAPPA RIBOLLA 2007
Non starò qui a descriverli tediosamente e non parlerò di anfore né di macerazioni perché vi renderete conto che rileggendo queste poche righe probabilmente vi sembrerà già di conoscerli.
Il vino è la naturale estensione del vignaiolo.
Parlando di lui, parlerete di vino. “Il vino lo faccio per me, il di più lo vendo”, parole sacrosante di Josko Gravner.
Bruno Frisini, Itri 21 Aprile 2017