Accantoniamo per un attimo la vite, l’uva, il vino e le sue pratiche di cantina, le infinitesimali teorie produttive, le esegesi mitologiche e le quasi sempre assai stravaccate, faziose e discordanti elucubrazioni degustative. Proviamo a parlare di tè ora, che non è soltanto un limitarsi alla pianta da cui origina la bevanda, ma implica il pensare alla miriade dei molti aspetti essenziali ed altri motivi o fondali meno evidenti ma altrettanto necessari. La letteratura specialistica sul tè trova in Cina un corpus di opere e trattati sull’argomento che raggiunge il centinaio di titoli. La cosa più sorprendente è lo specialismo con cui sono affrontati in dettaglio i singoli aspetti volta per volta a seconda del titolo, del trattato monografico oppure in ottica più generale. Coltivazioni, raccolte, lavorazione e strumentazioni del caso, preparazione del tè e suoi oggetti/attrezzi per disporlo al meglio, origini e classificazioni per pianta, tipologia di foglia, cultivar e provenienze, gusto e proprietà organolettiche, affinamento, stoccaggio, precettistica medica, abitudini alimentari, significati religiosi, fonti letterarie, simbologie popolari, motivazioni storiche, identificazioni geografiche e merceologiche. Il Jiancha shui ji ad esempio (Memorie sull’acqua per bollire il tè), tratta appunto solo di quest’elemento naturale alla base della vita animale – l’acqua o meglio l’ordinamento della qualità delle acque con specifica del luogo d’origine – dunque dei suoi pregi diuretici, indice di salubrità, sua purezza o impurità, derivazioni se e da quale sorgente, montagna, cascata, neve perenne, fiume, affluente, pozzo o tempio, punto e gradi d’ebollizione, tipi di recipienti e combustibili, lentezza/velocità con cui la si versa, caratteristiche sue chimiche proprie, strutture geologiche, componenti minerali.
Già solo questo non dovrebbe essere per molti di noi un ponderato suggerimento a farci soffermare per un attimo sul nostro ottuso quotidiano? Tutti sempre così in fretta e furia, distratti a tempo indeterminato e apparentemente senza vie di fuga da un mondo-ragnatela d’informazioni/disinformazioni espletate a getto continuo in cui a quanto pare l’eccesso di comunicazione insulsa ci ha reso tutti quanti più istupiditi, protozoiche monadi da Chatroulette russa, sempre più impossibilitati a comunicare non dico tanto l’uno con gl’altri quanto almeno a tentare di comprendere noi stessi. Un titolo quale Memorie sull’Acqua per Bollire il Tè dovrebbe renderci come minimo sospettosi ed incuriosirci sulle nostre vite chiuse sotto plastica a base di caffè cianurici all’acqua sporca compulsivamente presi in autogrill, pseudo-caffè strozzati in bar metropolitani squallidi o finto-chic essi siano; acque stagne minerali sterilizzate in contenitori di PET (polietilene tereftalato); bevande imbottigliate in laboratori-obitorio chissà come, quando e da chi inoculate dell’aroma simulato e colorante di quello che uno vuole; sempre più oscene birre a base di caramello raffinato mischiato a orzo di sintesi con acque piovane radioattive; pani a lievitazione innaturale impastati con farine liofilizzate ed altri liquami oscuri di cui ignoriamo del tutto i retroscena produttivi, le loro inaffidabili origini le tecniche d’estrazione, le fasi di mantenimento, le filiere di lavorazione a volte temibilissime fin dal campo di semina cioè alla sorgente del prodotto certificato pro forma edibile/potabile da qualche grigio ente impiegatizio cui ci affidiamo stronzamente anima e corpo. Ma così come nella nota parabola dei ciechi illustrata da Brueghel il Vecchio, al modo del dipinto finiremo tutti quanti come stronzacci attaccati in fila uno appresso all’altro sprofondando nel fosso nero proprio degli stronzi accecati dalle false mille luci del progresso: sempre più poveri, più stronzacci e più ciechi pur se con il dono apparente dell’intelligenza e della vista.
Disposti sulla tavola da tè come sui quadratini di una scacchiera, ci sono i 9 figli del drago ognuno dei quali sta a significare uno scopo benefico e custodisce con asiatico understatement dei millenari poteri speciali a fin di protezione.
Poi c’è la scimmietta con la pesca dell’immortalità che irradia su ognuno con sapiente sarcasmo fatui auguri di lunga vita. Il rospo a tre gambe Chanchu invece, è un altro amuleto portafortuna, detto anche “rospo della ricchezza”.
E ancora le sagome savie dei tre patriarchi spirituali rappresentanti delle principali scuole di pensiero e religiosità orientali: Taoismo, Confucianesimo e Buddhismo.
C’è Lu Yu (703-804) personaggio storico realmente esistito massimo esperto della bevanda, denominato anche il “Dio del Tè”, mitico autore dell’intramontabile Canone del Tè o Chashu.
Ancora, una coppia grassoccia dei piedi del Buddha, simbolo podologico dell’effusione del Risvegliato nei confronti d’un mondo di dormienti; un vaso la cui pronuncia “ping” è omofona al termine “pace”, la stessa che in fondo la bevanda ad infusione di foglie dovrebbe infondere nelle fibre nervose del corpo e nel sistema cardiovascolare dell’animo di chi ne fruisce. E poi tante altre minute, grottesche creature zoomorfiche che stanno ad indicare la natura creata per intero ovvero l’universo creatore tutto compreso anche del suo nulla.
Il mio amico non è altro che la metà di me stesso; anzi, un altro me stesso. Perciò devo considerare l’amico come me stesso. Matteo Ricci, Dell’Amicizia
Presento dunque a seguire in color verde foglia del tè, con grande piacere fisico ed intellettuale, un testo inedito del caro amico e sinologo Giacomo De Angelis/la Via del Fiore di Susino, compagno di strada sulla Via Maestra dell’agire senza agire, sempre secondo i luminosi dettami del Tao Te Ching.
Il tè
La bevanda dell’anima
Nel silenzio e nella solitudine è un piacere divino, assaporare in due è un brindare all’altro, gustare in tre o in quattro è allietarsi nel bere, in cinque o in sei è un sorseggiare sommario, oltre sei è un esercizio commerciale.
Della fragranza: fiori, erbe e frutti; odori naturali; rugiada del mattino, pioggia del meriggio o bruma della sera. Qualsiasi sia la sensazione ognuna nasce dalla genuinità della natura.
Del colore: foglie verdi color di giada, acqua limpida specchio del cielo. Verde, giallo, rosso e nero, dei quali infinite sfumature per un unico mistero che rimesta i sensi.
Del sapore: Dapprima abboccato, liscio tendente al dolce, infine amaro che allega in bocca per diversi livelli di sensazione.
Il cocomero è dolce ma il suo peduncolo è amaro,
la bellezza la scorgi quando comprendi che nulla è bello in eterno.
In Cina l’anima è l’origine dell’illuminazione spirituale e il mezzo per unirsi al divino ed avere una visione universale in cui ogni cosa è interdipendente e partecipe dello stesso movimento omeostatico.
Acqua, rugiada, neve…tè.
L’unione del cielo e della terra produce acqua, la quale costituisce l’essenza di ogni essere vivente, questo è il senso per cui dal cielo cade la pioggia, il vero e indiscusso succo degli dei. Gli antichi ripetevano: “Poiché l’acqua del Lago del Cielo bagna ogni parte del mondo, tutte le bevande sono divine, ma il tè per sua natura è la summa delle energie del cielo, della terra e dell’uomo”.
Per i cinesi il tè è spirituale di per sé quindi la preparazione non prevede nessun tipo di rituale come per esempio avviene in Giappone. I pochi accorgimenti e strumenti necessari mirano soltanto a degustare il prodotto nel miglior modo possibile.
Che sia in solitudine con la propria anima, con un amico o con pochi intimi, in Cina bere il tè significa armonia.
Bibliografia per ulteriori letture ed approfondimenti
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– Songshu (Storia dinastica dei Liu Song) di Shen Yue (441-513): Beijing, Zhonghua shuju, 1974.
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