Quando un prodotto dell’industria culturale – film, libri, musica, vino – riscuote consensi generali e successo di pubblico quasi unanime, la cosa dovrebbe insospettire sempre un po’.
Questi sono i temi di fondo che sorreggono Joker per i capelli: la violenza brutale; il cinismo urbano; la disperazione di metropoli sempre più sporche, disumanizzate, anonime; il disagio mentale; la solitudine.
Sono temi potenti, scenari fondamentali della nostra vita sociale, che però il registucolo da blockbuster Todd Phillips sfrutta in maniera consolatoria con attitudine sciacallesca per tappezzare un melodrammone bozzettistico appiccicato con lo sputo, specialmente nel finale grossolano alla V per Vendetta (2005).
Una Gotham City/New York particolarmente stucchevole nel suo scenografico squallore da cartolina anni ‘70, ricopiaticcia alla meno peggio e stereotipata su I Guerrieri della notte – The Warriors (1979) di Walter Hill.
Come è stato riportato da alcuni altri, il film fa perno tutto sull’interpretazione mimetica di Joaquin Phoenix, ma un film, oltre a grandi attori, ha bisogno di sceneggiatori, di scrittori con le palle – vedi Paul Schrader con Taxi Driver (1976), ad esempio -, per traghettare un messaggio profondo che non sia solo far botteghino gratuito sulle disgrazie psichiche o le disperazioni altrui.
Il riferimento esplicito del film è a Re per una notte – The King of Comedy (1983), ricordate Jerry Lewis e Robert De Niro? Ma da un punto di vista puramente registico niente a che vedere con la classe, lo stile, lo spessore, la visione autoriale di Scorsese degli anni d’oro.
Se è tutto un delirio posticcio nella mente del protagonista, lo spettatore è ingannato fin da subito da una regia approssimativa e confusionaria per cui non si riesce a districare l’allucinazione mentale dalla confusa realtà. Realtà e finzione indistricabili come forma d’arte hanno bisogno di registi visionari autentici, penso al Terry Gilliam di Brazil (1985) tanto per dire. In Joker invece, la sola cosa certa è che l’allucinazione reale e la confusione psichica sono quelle del regista che pretende di andare avanti per due ore a colpi di scena ed effetti a sorpresa utili forse ad impressionare l’immaginario sempliciotto di adulti cresciuti male a sonore cagate televisive.
E poi trovo insopportabile quell’eccesso d’enfasi didascalica. Così come gli straripamenti della musica extradiegetica in chiave emotiva per drammatizzare le scene, risultano un bel po’ manipolatori, infantili trucchetti strappalacrime da filmini Hollywoodiani leziosi, prodotti dalla Warner Bros, non certo usi espressivi da grande cinema. Un abuso sciroppone del suono alla Sorrentino insomma, Dio ce ne scampi, che fa l’effetto degli aromi artificiali nei vini: alla fine del bicchiere cioè, ti resta solo un saporaccio di roba fasulla in gola!
Battuta del film.
La mamma lo chiamava Happy fin da bambino, ma lui, Joker, in un momento di confessione:
Non sono stato felice mai, neanche un minuto nella mia vita del cazzo.