Flâneurie al Mercato Fivi 2017
Piacenza Expo, 25-26 novembre 2017.
Mentecatto in questi tempi mentecatti, come un flâneur alla ricerca del vino genuino – vattelappesca dirà più di qualcuno – me ne vado a spasso su e giù, a dritta e a manca, sotto un capannone industriale tra le 6 corsie, (da A a F), del Mercato dei Vini dei Vignaioli Indipendenti (FIVI) giunto al suo settimo anno.
Ho orecchiato qua e là tra i social e in giro anche in fiera, qualche insulsa polemicuccia relativa al fatto che i banchi d’assaggio sono spalmati su una superficie di tanti metri quadrati in maniera irrazionale senza un preciso ordine logico il che complicherebbe la ricerca da parte degli operatori del settore. Dico polemicuccia insulsa perché basta avere a portata di mano una matita e la mappa della fiera distribuita all’ingresso dagli organizzatori, soffermarsi pochi minuti a studiare strategicamente il o i tanti percorsi da imbastire a seconda degli interessi di ognuno. Anzi trovo, esattamente all’opposto, che il valore aggiunto di questa fiera sia proprio il fatto di lasciarsi trangugiare, e perdersi per ritrovarsi, nonostante la pianificazione d’intenti tipo caccia del tesoro con mappa e matita, lasciarsi risucchiare dall’alta marea dei cinquecento espositori di modo che anche i più scafati a queste manifestazioni possano senza pregiudizi arroganti e preclusioni dettate dai gusti personali o dagli interessi commerciali, scoprire qualcosa di nuovo ed entusiasmante che altrimenti non avrebbero mai neppure avuto la benché minima curiosità di approcciare.Piuttosto consiglierei agli organizzatori di trovare una soluzione alternativa all’allocazione dei banchi alimentari posti in fondo alle corsie, quelli più invasivi in termini di fritture, grigliate e fumogeni vari che in effetti pregiudicano un assaggio non “inquinato” dai vapori di cucina a quei produttori di vino sfavoriti proprio perché più prossimi agli stessi come è stato il caso di un amico produttore dell’Etna che ha fatto assaggiare per due giorni di seguito Carricante e Nerello Mascalese contaminati di fritto misto e polpo alla griglia.Ho avuto poi la preziosa occasione di partecipare alla verticale d’assaggio dei Montenidoli di Carato 2012/2002/1997/1994/1990 condotta dalla stessa bellicosa Elisabetta Fagiuli, vignaiola veterana e interprete somma della “Signora” Vernaccia di San Gimignano affiancata in degustazione da Angela Fronti, ben più giovane promessa del Chianti Classico in quel di Radda (Istine).
Il fattore felicità è importantissimo…
Il vero vignaiolo sa parlare alla terra e dalla terra riceve vitalità, purezza, ritmo, energia.
Queste le parole accorate dell’Elisabetta Fagiuoli, dopo una filippica risentita contro la piaga dei caprioli – faccenda delicata in termini di equilibri dell’ecosistema e della convivenza di uomini animali e piante – che a lei come a tanti altri vignaioli, devastano le vigne molto più dei cinghiali.
La verticale delle cinque annate della Vernaccia di San Gimignano si mostrava già all’impatto cromatico illuminante, rispecchiando cinque sottili ma sostanziali variazioni di bianco-verde-giallo-oro-paglia, mulinando senza posa con struggimento nei bicchieri. Struggimento acuito da una vera e propria voragine temporale, ventisette anni, che è l’intervallo esatto che passa dall’annata 1990 ai giorni nostri. E tre decenni non sono affatto pochi per un vino bianco a maggior ragione che non stiamo parlando di un Montrachet, soprattutto se poi questi ventisette anni non hanno più di tanto pregiudicato l’integrità del vino in bottiglia ma anzi ne hanno rafforzato i lati più segreti, impreziosito l’intimità, trasformando gli elementi più fragili e sottili in un costitutivo, profondo punto di forza.
Ogni bicchiere quindi un’annata, un liquido fermentato autonomo, un mondo a sé. Un vino, a volerci rimuginare un po’ su, composto dalla sensibilità, dai nervi, dall’intelligenza caparbia di una donna, ma sostenuto nel fondo dalla muscolatura e dal carattere di un uomo sanguigno. Ogni annata quasi circoncisa* nel bicchiere con le sue particolarità specifiche, dall’ossidazione all’opulenza minerale, dall’appassimento di fiori e frutta alla fragranza d’un campo di grano appena mietuto, travasava oltre lo stesso bicchiere riversandosi nell’aria come un solo bicchiere di cinque, traccia inconfondibile di un’idea semplice, antica ma compatta di fare agricoltura coltivando con cura le vigne, fermentando l’uva, trasformando gli zuccheri in alcol e imbottigliando il vino senza troppi raggiri pirotecnici o addizioni enologico-farmaceutiche. A fine degustazione con il gusto nitido e incisivo rilasciato sul palato da questi cinque vini in assaggio – o unica idea di vino da diverse annate -, riflettevo mestamente sulla longevità, l’invecchiamento, la vitalità di questa Signora Vernaccia e sulla stessa Signora Elisabetta Fagiuoli, produttrice di questi vini magnifici a disposizione dei consumatori più avveduti in grado di apprezzarli. La vitalità, rimuginavo tra me, è già di per sé un ritmo, un ritmo vitale che scandisce l’ordine e il disordine, la felicità o l’infelicità, il nutrimento e la carestia, il bello e il brutto della presenza umana nel mondo, una presenza che, alla fine della fiera, è contingente, quasi superflua rispetto alla centralità di un bosco, di una famiglia di caprioli affamati, indifferenti all’uomo alle donne e alla loro concezione del vino, per quanto nobile, necessaria ed ecosostenibile essa possa sembrarci.
Il secondo giorno di fiera ho partecipato invece alla degustazione dedicata a un microcosmo tutto da approfondire cioè la tipologia di prosecco Colfondo (Col Fondo, Còlfondo, Colfóndo etc. a seconda del guizzo semantico di chi lo scrive). A guidare i 9 assaggi in batteria l’amico franciacortino Gigi Nembrini di Corte Fusia. Trovata irriverente ma azzeccatissima quella di far illustrare le caratteristiche del Prosecco Colfóndo ad un produttore di Metodo Classico della Franciacorta. Assieme a Gigi, Massimo Zanichelli che all’argomento accattivante delle spumantizzazioni spontanee, fermentazioni in bottiglia, frizzanti dell’Emilia, colfóndo trevigiano ha dedicato un libro di viaggio assai ben argomentato pubblicato da Edizioni Bietti (Milano): Effervescenze. Storie e interpreti di vini vivi.
Definitivo sul tema effervescente, proprio quanto sottolineato dallo stesso Zanichelli nel distinguere la rifermentazione in bottiglia che “trattiene e vela” dal Metodo Classico che invece, all’opposto “espelle e ripulisce.”
Assaggiando queste nove bottiglie di prosecco colfòndo una di fianco all’altra ho accresciuto una sensazione interiore o epidermica di base sulla tipologia con sedimento in bottiglia fortemente caratterizzata, più che altre tecniche di cantina, dall’interpretazione, dall’unicità di colui o colei che il colfòndo mette in bottiglia. Sensazione la mia, subito rafforzata ed esteriorizzata anche sul piano più oggettivo del riscontro pratico e dell’esperienza diretta quando Luca Ferraro di Bele Casel prendendo la parola in pubblico ha confermato che il vino colfòndo è strettamente collegato alla persona, al carattere del vignaiolo, piuttosto che alla vigna o all’annata.
Il vino dell’annata rappresenta il fermo-immagine dell’azienda.
Questa appena sopra è invece la suggestiva frase ricordata da Gigi Nembrini durante la degustazione, riportata da qualcuno dei suoi colloqui con uno degli otto produttori rappresentativi della categoria di colfòndo assaggiati proprio così come segue (i primi sette dell’annata 2016, gli altri due dell’annata 2014 e 2012):
- Azienda Agricola Le Rive del Nadal 2016 (di Guizzo Stefano) Valdobbiadene DOCG Prosecco Frizzante Rifermentazione in bottiglia
- Azienda Agricola Le Volpere 2016 (De Rosso Luca e Matteo) Prosecco DOC Col Fondo Vino Frizzante Rifermentazione in bottiglia
- Azienda Agricola Ruge L’Essenziale Còlfondo 2016 Prosecco DOC Treviso Vino Frizzante a Rifermetazione in bottiglia
- Soc. Agricola Miotto ProFondo 2016 Metodo Col Fondo Prosecco DOC Vino Frizzante Rifermetazione in bottiglia
- Azienda Agricola Fratelli Collavo “Collfòndo” 2016 Prosecco DOC Treviso Vino Frizzante non filtrato
- Società Agricola Rosa Natale Acini di Casa 2016 Prosecco DOC Treviso Vino Frizzante a Rifermentazione in bottiglia
- Azienda Agricola Follador Francesco 2016 Prosecco DOC Treviso Vino Frizzante Rifermentazione in Bottiglia
- Soc. Agricola Miotto ProFondo 2014 Metodo Col Fondo Prosecco DOC Vino Frizzante Rifermetazione in bottiglia
- Bele Casel ColFòndo 2012 Asolo Prosecco DOCG Vino Frizzante a Rifermentazione in bottiglia non filtrato
Ancora, vagabondando soddisfatto tra le numerazioni dei banchetti e le corsie alfabetiche A, B, C, D, E, F al termine del secondo giorno di Fiera, intorno all’alveare del banchetto anarcoide di Walter Massa con il fido Pigi “Zoccolo Les Italiens“, tra un taglio di salame crudo e un capocollo monferrino, sbevazzando una rinfrescante Barbera Monleale del 2012, sono imbattuto in Mario Pojer che mi ha fatto assaggiare una meraviglia di pane, appetitoso, scrocchiarello nella mollica, con lievito madre e trito di vinaccioli del suo chardonnay, impastato da un panificatore geniale a Borgo Sacco (Rovereto) del panificio moderno.
Nota sepolcrale a chiusura di questa sempre lodevole Fiera-Mercato è stata la scocciatura – non voglio neppure immaginare quanti decenni di guai e sfortune seguiranno – di una bottiglia del Barbacarlo 2016 che a quanto pare ne sono state prodotte poco più di duemila bottiglie. Sacche, saccocce e zaini stracolmi, ho pensato, malissimo, di appoggiare un attimo a terra la gran boccia di Lino Maga mentre ero preso in chiacchiere allegre e assaggi delle vecchie annate dei Chianti di Certaldo e della sua speciale Medicina Occhio di Pernice con Antonio Giglioli del Casale quando col piede maldestro inciampo nella bottiglia e… patatràc, innesco la creazione involontaria sventurata di un Jackon Pollock di vino carta e vetri senza più valore su pavimento industriale non assorbente!A capannone ormai svuotato sia dei produttori che dei consumatori, ho drammaticamente aggiunto quindi una frase in più a quanto ben precisato al banchetto di Lino Maga da suo figlio Giuseppe e da Valerio Bergamini “Il vino non si sputa, si beve… [aggiunta maledetta] e si rompe anche!“, e qui vi risparmio tranquillamente il rosario infinito ma niente affatto tranquillo delle bestemmie e degl’anatemi apocalittici nei più pittoreschi dialetti estinti del pianeta terra.
* L‘atto di stappare una vecchia bottiglia ha sempre un che di misterioso, ancestrale e potente che richiama dolorosamente un’assonanza con il rituale atavico della circoncisione del prepuzio.