La scoperta più avvincente del 2015 l’ho fatta veleggiando su Twitter ed è Maria Popova, autrice ed animatrice del sito #BrainPickings (Frutti del Cervello) un vero e proprio “Inventario della Vita Eloquente” come dal significativo sottotitolo, da cui sempre su twitter raccolgo con gratitudine svariate notifiche appassionanti, un patrimonio di notizie scientifiche e divagazioni culturali notevoli assieme ai più disparati approfondimenti editoriali oltre a tanti altri frammenti di contemporaneità archeologiche sull’epoca rovinosa e datata già sul nascere che stiamo vivendo, ipertesti e documentazioni digitali su questo relitto di civiltà multimediale sopra cui sta assai velocemente naufragando la nostra era post-tecnologica, post-industriale e post-qualchecosa ma soprattuto posteriore o postuma a se stessa.
Traduco allora come un buon auspicio tutto al femminile per il 2016 questa recensione della Popova ad un libro di Rebecca Solnit che è una intensa riflessione sulla speranza, un manifesto dell’ottimismo che motiva all’azione nonostante la tanta disperazione economica politica sociale morale antropologica in cui siamo sommersi; è un’esortazione accalorata, una scossa che possa risvegliarci almeno un po’ da questa nostra perenne inettitudine di spettatori passivi nell’acquario o parco giochi della vita moderna, mummificati nel grigiore d’un anonimato ammiccante sempre celebrativo del successo altrui e di chi agisce a commiserazione patetica da vittime auto-sacrificali nei riguardi della propria impotente sconfitta e del fallimento di chi subisce lo spettacolo del mondo senza reagire.
“La vera luce risiede nel buio dietro la ribalta! ”
Penso sia davvero dura vivere oggi di speranza e sincerità nell’era del cinismo. Non è impresa facile resistere davanti ai cancelli della speranza mentre siamo bombardati da notizie disperate e continui atti di violenza, mentre continuiamo imperterriti a fronteggiare quotidinamente quello che Marco Aurelio enumerava come: “intromissione, ingratitudine, arroganza, disonestà, gelosia, scontrosità.”Non m’è riuscito di trovare una più lucida e radiosa difesa della speranza che questa di Rebecca Solnit proposta in Speranza nel Buio: Storie Taciute, Possibilità Scatenate (Nation Books 2004 pubblicato in Italia da Fandango) – uno snello ma potente libretto racchiuso nella scia dell’amministrazione Bush durante l’invasione dell’Iraq; un libro struggente che è cresciuto in modo più rilevante solo nel decennio successivo. Perdiamo la speranza, suggerisce la Solnit, perché smarriamo il senso della prospettiva – perdiamo cioè di vista “l’accumulo dei cambiamenti impercettibili ma accrescitivi”, che costituiscono il progresso rendendo la nostra epoca radicalmente diversa dal passato, un contrasto oscurato dalla natura non imprevista delle trasformazioni graduali punteggiate da tumulti occasionali.
Ognuna delle nostre vite trabocca di testimonianze personali che evidenziano questi cambiamenti culturali collettivi. Al tempo in cui sono nata io, nessuno avrebbe potuto immaginare che la guerra fredda sarebbe finita e una ragazza cresciuta nella Bulgaria comunista si sarebbe fatta strada da sola leggendo e scrivendo di libri editi in inglese seduta di fronte lo skyline di Manhattan; già solo un decennio fa, sarebbe sembrato inconcepibile che una tribù ben distribuita d’estranei in rete avrebbe racimolato un milione di dollari per alcuni rifugiati dall’altra parte del mondo attraverso un sistema di comunicazione globale istantanea di neo-telegrammi in soli 140 caratteri; solo un paio di anni fa era difficile pure immaginare che sarebbe venuto il giorno in cui ognuno sarebbe stato in grado di sposarsi con chiunque si desideri amare.
Così scrive la Solnit:
“Ci sono momenti in cui non solo il futuro ma anche il presente ci pare buio: davvero pochi riconoscono in che tipo di mondo radicalmente trasformato stiamo vivendo, un mondo che è stato trasformato non solo da incubi quali il surriscaldamento planetario e il capitale globale, ma dai nostri sogni di libertà e giustizia – cioè trasformato dalle stesse cose che non avremmo potuto non sognare… Abbiamo bisogno di sperare nella realizzazione dei nostri sogni, ma anche di riconoscere un mondo che rimarrà ancora più ferocemente libero della nostra stessa immaginazione.”
Esponendo questo sentimento che mette in relazione la materia oscura alla materia ordinaria nella formazione dell’universo, la Solnit offre la metafora perfetta per rappresentare le sorgente della nostra inconsistente presa sulla speranza:
“Immaginiamo il mondo come fosse un teatro. Gli atti con i potenti e i funzionari occupano il centro della scena. Le versioni tradizionali della storia, le fonti convenzionali di notizie vi incoraggiano a fissare lo sguardo sul palco. Le luci della ribalta sono così luminose che vi abbagliano dirigendovi verso gli spazi ombrosi intorno a voi, rendendovi difficile incontrare lo sguardo delle altre persone sedute, di riuscire a scorgere la via d’uscita oltre il pubblico, nei corridoi, dietro le quinte, al di fuori nel buio, dove altre potenze sono in azione. Gran parte del destino del mondo si decide lì sul palco proprio sotto i riflettori, in quello spazio su cui gli attori presenti vi diranno che non c’è altro luogo che quello.”
Ad un brano che richiama alla mente le parole memorabili di Simone Weil:
“Quando qualcuno si espone come schiavo sul mercato, quale meraviglia se trova un padrone?”, la Solnit aggiunge:
“Quel che avviene sul palco è una tragedia, la tragedia della distribuzione iniqua del potere e del troppo comune silenzio di coloro che s’accontentano solo di essere pubblico e oltretutto pagano pure il biglietto per assistere a questo dramma. Per convenzione, dovrebbe essere il pubblico a scegliersi gl’attori e questi ultimi dovrebbero letteralmente parlare per noi, questa è l’idea alla base della democrazia rappresentativa. In pratica, sono varie le ragioni che tengono molti sull’onda partecipativa di questa decisione, altre forze invece – il denaro ad esempio – rovesciano questa scelta così che sul palco anche molti degli attori trovano altre ragioni – lobbisti, il puro interesse personale, il conformismo – tanto da far fallire il proposito di rappresentare i loro elettori.”
Come osserva ancora la Solnit la speranza muore quando scegliamo di assistere rassegnati allo svolgimento del dramma abdicando alla nostre responsabilità, puntando il dito accusatorio contro i protagonisti sotto i riflettori. (Nelle parole di Iosif Brodskij questa considerazione è espressa molto bene nel suo: “Un dito puntato è il marchio di fabbrica della vittima.”) Sempre la Solnit è così che considera la tipica propensione dei disperati:
“Parlano come se dovessero aspettarsi che un miglioramento venga loro consegnato dall’alto e non come se potessero afferrarlo con la sola forza della propria volontà. Forse la loro disperazione più vera risiede molto semplicemente nel fatto di sentirsi spettatori piuttosto che attori.”
Il nostro più radioso orizzonte di speranze, sostiene la Solnit, giace proprio lì nell’oscurità oltre le luci della ribalta:
“Le ragioni della speranza giacciono lì nell’ombra, nelle persone che stanno inventando il mondo proprio mentre nessuno le sta guardando, che neppure loro stessi sanno di riuscire a realizzare qualcosa che sortisca qualche effetto, in quelle persone di cui non si è ancora mai sentito parlare ma che potrebbero essere i nuovi Cesar Chavez, i Noam Chomsky o le Cindy Sheehan del futuro o diventare qualcosa o qualcuno che non possiamo al momento neppure immaginare cosa come o chi. In questa epica battaglia tra la luce e il buio, è la parte oscura – quella degli anonimi, degli invisibili, degli ufficialmente inermi, dei visionari e sovversivi nell’ombra – è questa la parte nella quale noi dobbiamo riporre le nostre speranze. Per quelli che sono in scena, possiamo soltanto sperare che il sipario si abbassi quanto prima e che l’atto successivo sia migliore del precedente, che provenga direttamente dalle oscurità populiste.”
Speranza nel Buio è una lettura immensamente tonificante presa nella sua interezza ad integrazione della quale c’è una lettera esaltante di E. B. White ad un uomo che ha perso la fede nell’umanità, brani di Albert Camus sulla nobiltà dello spirito in tempi bui, Viktor Frankl sul perché l’idealismo sia la migliore forma di attivismo e così ripercorrere ancora la Solnit sul come ritrovarsi nel perdersi o degli effetti dei libri e della lettura sullo spirito umano, su come la non-comunicazione moderna abbia tramutato la nostra esperienza del tempo, della solitudine e della condivisione, ripercorrendo infine quel suo bellissimo manifesto sulle gratificazioni spirituali del camminare.