Buone notizie dall’Etna grazie al grandissimo Paolo De Marchi – Isole e Olena – viticoltore in Barberino Val d’Elsa.
A pranzo al Cave Ox di Solicchiata il giorno prima di Contrade 2017.
Borro Cepparello 1982* (100% uva Sangioveto), fermentato con lunga macerazione sulle vinacce, invecchiato in piccoli barili di rovere e castagno è – era – in bottiglia dalla primavera del 1984.
L’annata 1982 ha subito imponenti temporali primaverili cui è seguita un’estate eccezionalmente secca che ha permesso una maturazione perfetta delle uve pur se con rese ridotte.
Stappata aveva questo bel colore splendido di ciliege in un cesto, una tenace polposità di duroni appena raccolti. Fragranza, integrità e frutto davvero inaspettati per un sangiovese di oltre 30 anni! Man mano nel bicchiere ha poi ceduto a note più ferrose e naturalmente terziare di ruggine, tranci di sigaro Toscano, una trama ematica al retrogusto, come masticare un filetto di tonno rosso crudo (pescato, pulito e mangiato fresco fresco dal mare ovviamente!)
*[Bottiglia da Aste Bolaffi, proveniente dalla collezione privata di Luigi Veronelli]
Commenti disabilitati su Oro Incenso e Panettone – Epifania del Gusto sull’Etna
S’ammucchiava alta sulle croci contorte, sulle pietre tombali, sulle punte del cancello, sugli spogli roveti. E la sua anima gli svanì adagio adagio nel sonno mentre udiva lieve cadere la neve sull’universo, e cadere lieve come la discesa della loro estrema fine sui vivi e sui morti. (James Joyce, I morti)
Un mese fa esatto, all’inizio del 2017 al Cave Ox di Solicchiata sull’Etna, il giorno della befana – con il bollettino meteo decisamente contro e la bufera di neve a martello – abbiamo messo in piedi un pranzo quantomeno eroico. Una quarantina i prenotati entusiasti che si sono avventurati a questo pranzo di fine festività natalizie, rischiando così di restare bloccati dal ghiaccio e dall’ondata eccezionale di nevicate previste.Pasteggiamenti & Festeggiamenti
Il pranzo della Befana al Cave Ox di Sandro Dibella, oltre alla tempesta di neve prevedeva:
Distillati di frutta Capovilla (Ciliegie Duroni, Prugne Selvatiche, Mele Gravensteiner)
bottiglioni magnum d’Amara (Amaro d’Arancia Rossa di Sicilia)
Questo ad incorniciare l’apertura e gli assaggi di 14 panettoni da 14 artigiani (pasticcieri e panificatori da ogni angolo d’Italia) a cui ne abbiamo inserito un quindicesimo non esplicitamente artigianale o quanto meno semi-industriale (vedi al num. 13).
Quella del panettone tradizionale è una storia di eroismi privati, di temperamenti forgiati al sacrificio, d’imprese artigianali che nascono dal basso nell’Italia devastata del dopoguerra. Ha origini anche più lontane alla corte di Ludovico Sforza sembrerebbe, ma in età moderna Motta e Alemagna sono i nomi degl’inventori meneghini di questo “pane speciale”, i creatori del dolce natalizio che oggi però sono assurti a giganteschi brand industriali.Ma l’artigianato del panettone come vuole tradizione si rinnova ora come ogni anno nel nome di altri fornai, pasticcieri, alchimisti, eroi lievitatori che operano testa-mani-e-cuore in ogni angolo del Belpaese.Vista la poderosa differenza di prezzo tra i due, tutta la questione del panettone industriale (scadenza a 6 mesi/1 anno) versus panettone artigianale (scadenza a 30/40 giorni) si gioca principalmente sull’onestà intellettuale del pasticciere-panificatore che si professa artigiano dichiarandolo apertamente in etichetta il quale dovrebbe perciò utilizzare materie prime d’altissima qualità ed estrema freschezza (farine speciali, lieviti, uova, canditi e burro d’eccellenza) evitando come la peste l’uso di conservanti da merendine chimiche quali i mono e digliceridi degli acidi grassi ad esempio.
Questo pranzo al Cave Ox il giorno dell’Epifania – che ricordiamo significa manifestazione e apparizione divina – è stato insomma un felice pretesto per assaggiare assieme a chi c’era l’assortimento d’una quindicina dei panettoni artigianali “più buoni del paese”.Segue la lista dei panettoni così come li abbiamo numerati scartandoli della loro confezione naturalmente visto che era una prova d’assaggio alla cieca, quindi presentati in perfetto anonimato alla vista, all’olfatto, all’assaggio e al parere emozionale dei partecipanti alla degustazione.
Più buoni si diceva, secondo i nostri informali criteri d’appassionati e non in ragione di scientifiche analisi organolettiche e giudizi da tecnologi alimentari. Valutazioni spontanee ma accorte dunque date in base alla scrupolosità produttiva, filtrate alla luce di una manifattura plausibilmente artigianale in linea con una preparazione strettamente manuale (spezzatura, scarpatura, raffreddamento), in assenza d’additivi chimici, conservanti, coloranti ed altri surrogati di sintesi utilizzati a spron battuto dall’industria alimentare ma anche – ahimè – da tanti presunti/presuntosi pseudo-artigiani e mistificatori proni alle infernali logiche di mercato.
È stata una giornata ispirata da semplici ma decisivi pareri amatoriali e criteri di analisi sensoriale indicativi della bontà generale dei panettoni. Valutazioni spassionate che sono state segnate da tutti gli ospiti su una scheda apposita assegnando ognuno un punteggio da 1 a 5 per ogni panettone, in base alle seguenti caratteristiche:
gusto
colore
equilibrio
qualità tangibile degli ingredienti
profumo
sofficità/fragranza
alveolatura
uniformità di distribuzione della frutta
cottura
Al netto di insidiose variabili da gestire quali: l’equilibrio di lievitazione dell’impasto – sono tre le complesse fasi di lievitazione – e poi l’asciugatura, la cottura della sfornata dei panettoni sotto la fretta e la pressione commerciale del Natale; l’umidità o secchezza di un prodotto tanto volubile a breve scadenza ed alta deperibilità; la temperatura di servizio degli stessi mentre fuori ci sono condizioni atmosferiche antartiche…insomma facendo la tara a tutte queste mutevoli costanti d’indeterminazione abbiamo tuttavia approcciato la degustazione dei panettoni con cuore leggero, sguardo limpido, umiltà, lucida coscienza del lavoro altrui e palato purificato da qualsiasi pregiudizio di sorta fiduciosi di trovarci davanti ad una selezione di assolute eccellenze pasticciere nazionali, frutto di enormi sacrifici, notti insonni, fallimenti e successi sigillati più dalla mano umana e dal sudore della fronte che dalle macchine computerizzate, da tecnicismi esasperati, da lievitazioni monocordi sfornate a catena di montaggio con i calcolatori informatici programmati alla triste, sterile regola dei nostri giorni monetarizzati del massimo risultato quantitativo col minimo sforzo di ricerca della qualità.Per evitare poi di farsi condizionare dalla riconoscibilità, dall’affezione o dal prestigio del marchio di manifattura, ribadisco che i panettoni sono stati tutti numerati e assaggiati “alla cieca” dai partecipanti alla giornata per terminare poi in una giocosa classifica di fine pranzo tra i presenti, nel tentativo di scegliere all’unanimità i 5 tra 15 che avessero allettato di più le papille della maggioranza.Qui un link che rimanda al Disciplinare di Produzione del “Panettone Tipico della Tradizione Artigiana Milanese” datato al 2003.
Questi a seguire, in ordine casuale, i 5 panettoni che hanno riscosso il totale punteggi più elevato da parte del pubblico alla luce di quanto puntualizzato più sopra:
Commenti disabilitati su Un Reportage dalla Florida all’Etna. Degustazione Bendata al Cave Ox. (Keith Edwards)
Dalla degustazione bendata Alla Cieca per Vederci Meglio messa in piedi assieme a Bevitori Indipendenti al Cave Ox di Solicchiata la sera della vigilia di Contrade dell’Etna il 17 Aprile scorso (2016), ecco che dopo neppure un mese spunta fuori all’improvviso una mirabolante relazione ricostruita con occhio e orecchio precisi, genuina curiosità, partecipata ironia ed efficace senso della misura dall’economista, archeologo e wine enthusiast Keith Edwards riportata nel suo blog: Wine – Mise en Abyme.
Edwards era presente anche lui quella sera alla strabordante degustazione etnea trovandosi in Sicilia – come ben racconta nel suo pezzo – per un giro di perlustrazione enogastronomica europea direttamente dalla sua Orlando (Florida). Avremmo dovuto essere massimo 70 persone ma alla fine eravamo quasi cento cristiani tra gente in piedi e seduti ai tavoli in quella fatidica sera che ancora non mi è ben chiaro – né credo sia chiaro altrettanto a Valerio Capriotti,Alberto Buemi e Sandro Dibella – di come siamo riusciti a sfangarla fino a uscirne vivi.
Traduco quindi di seguito il vivace articolo di Keith: Blind Tasting at Cave Ox, ringraziando innanzitutto il comune amico Brandon Tokash caloroso ambasciatore della Sicilia residente sull’Etna il quale ha fatto scintillare questo stupefacente cortocircuito tra noi fomentati della degustazione bendata, nella medesima serata di cui appunto si ricostruisce qui l’essenza, le ragioni e gl’esiti di fondo catturati con non comune arguzia dallo stesso Keith Edwards.
Queste sono risultate essere dunque le bocce una volta smutandate delle loro bende:
I batteria:
1. Cantine Olivella Catalanesca 2013
2. Filippi Soave Vigne della Bra’ 2013
3. Monte dei Ragni Soave Inamphora 2014
4. Malvasia di Candia Camillo Donati 2012
5. Cidre Brut Eric Bordelet
II batteria:
6. Rosato Le Coste 2014
7. Vittorio Graziano Lambrusco Grasparossa Fontana dei Boschi
8. Masseria del Pino – Rosato Super Luna (Sample not for sale)
9. Francesco Guccione NM (Nerello Mascalese) 2013
10. Eduardo Torres Acosta – Versante Nord 2014
11. Masseria del Pino – I 9 Fratelli Etna Rosso
12. Chateau Las Collas Rivesaltes 1995
Ad ogni modo per gli interessati linkoqui il videoclip (a cura di Salvatore Gravina) che testimonia il mood della serata e per chi volesse poi proseguire con ulteriori approfondimenti sul tema sempre in questo mio spazio virtuale da vinosofo ambulante avevo già proposto fondamenti, linee guida e motivazioni generali sia pratiche che teoriche del degustare i vini alla cieca poiché solo così si sente, si giudica e si gusta attraverso i propri occhi naso e bocca scintillanti sciolti da opportunistici vincoli d’ordine sociale e senza quegl’insidiosi condizionamenti del Marketing.
Alla cieca insomma per aprirsi ancor più gl’occhi il palato e la mente!
Accecando le bottiglie di bianchi frizzanti rossi e rosati “ciclopici”, abbiamo inteso così restituire più vista a tutti i sensi di chi s’approccia al vino senza condizionamenti, frigidezze, ansie da prestazione, serietà da beccamorti e ottusi pregiudizi ritrovando così quello stesso vento di scoperta e spirito d’avventura che muove Ulisse, primo esploratore sul mare “color del vino”.
[gae saccoccio]
Degustazione alla cieca al Cave Ox (Solicchiata – Castiglione di Sicilia): il mio primo evento in assoluto sull’isola.
Con un “amico di bevute” ci si stava organizzando per una visita nella provincia della Rioja a fine Aprile. Stavamo decidendo di estendere quel viaggio in modo da poter includere anche le degustazioni di Galloni con Vinous a Londra non appena sono state annunciate. Man mano che si avvicinava la data del viaggio ho cominciato però a pensare che in fondo ero già stato nella Rioja quindi se proprio dovevo ritornare in Europa, forse avrei dovuto visitare un altro posto che non avevo ancora avuto occasione di vedere. Così ho comunicato al mio amico che ce ne saremmo belli che andati sull’Etna!Ho quindi scritto un messaggio a Brandon Tokash (il mio nuovo miglior amico che vive proprio sull’Etna e che ho incontrato la prima volta al IV Winelover Anniversary Celebration di Atene) dicendogli che con un gruppo di amici saremmo andati sull’Etna per un fine settimana. Brandon mi ha subito scritto così: “non puoi venire sull’Etna e non visitare anche il resto della Sicilia”, consigliandomi di prenderci almeno un altro paio di giorni per scoprire anche un’altra parte di Sicilia oltre all’Etna. Mi sono in effetti trovato subito d’accordo con Brandon così proprio assieme a lui avremmo visitato prima altre zone della regione e saremmo poi andati sull’Etna per il fine settimana a visitare alcune aziende vinicole.
Una volta che andavo sul Vulcano più alto d’Europa Brandon ha aggiunto che sarebbe stata un’ottima occasione per me, capitava di lunedì, di partecipare a Contrade dell’Etna – un grande evento dove si ritrovano tutte le aziende dell’Etna con i loro vini in esposizione – e poi visto già che c’ero, la domenica sera prima di Contrade al Cave Ox di Solicchiata avrei potuto anche partecipare all’evento in programma: Alla Cieca per Vederci Meglio. Ed è così che mi sono ritrovato alla fine a partecipare appunto a questa degustazione alla cieca sull’Etna, una domenica sera di metà Aprile.La degustazione comprendeva due batterie – una I batteria di 5 bottiglie e una II batteria di 7 bottiglie – ed è stata condotta da Valerio Capriotti di Bevitori Indipendenti e Gaetano Saccoccio di Natura delle Cose. Gli organizzatori hanno impostato la degustazione alla cieca con l’intento principale di sbarazzarsi del fardello della riconoscibilità di un’etichetta di vino da parte di chi si dispone a degustare. Se l’identità di un vino resta sconosciuta ai degustatori, questi ultimi non condizionati dalle etichette possono concentrarsi meglio sulle caratteristiche prinicipali del vino basandosi maggiormente sui sensi dell’olfatto del gusto e della vista non facendosi influenzare dal marketing.Il Cave Ox si ritrova dentro un cortile interno. Lo spazio di fuori davanti all’entrata è allestito con tavolini da esterno e ancora più su ha un aspetto di giardino rustico contornato di altri posti a sedere. Al nostro arrivo alcune persone erano sia sedute che in piedi a discutere tra loro fuori l’ingresso e Brandon si è fermato a salutare e parlare con ognuno di loro. Ci sono voluti letteralmente 30 minuti prima che dall’entrata riuscissimo a raggiungere l’interno del ristorante dove a quanto pare avremmo dovuto prender posto. Brandon ha stretto ogni mano, abbracciato ogni petto, baciato ogni ragazza prima di arrivare al nostro tavolo. Brandon, che tipo! Dovrebbe proprio considerare l’opportunità di candidarsi a fare il sindaco o qualcosa di molto simile!La serata era al completo oltre ogni dire. Nella sala principale c’erano tre o quattro tavolate disposte in parallelo e altri tavoli aggiunti sotto le due nicchie adiacenti alla sala maggiore. I tavoli erano molto costipati così le sedie erano tutte appiccicate tra di loro tanto da avere un senso d’oppressione e la viva impressione di come possano sentirsi le sardine quando vengono disposte dentro le loro scatolette di latta.
Ammeto di aver avuto una certa apprensione su come potevano andare a finire le cose sapendo che la degustazione sarebbe stata condotta in italiano – la conoscenza del quale per quanto mi riguarda si limita ad alcuni pochi nomi di produttori di Barolo e Montalcino – e non volevo poi di certo gravare eccessivamente sulle spalle di Brandon facendogli sentire che avrebbe dovuto marcarmi a vista al fine di smorzare il mio disagio. Tutte queste mie perplessità si sono comunque disciolte in aria non appena ho visto Gae. Ho riconosciuto il tipo fin dall’aspetto, venuto fuori direttamente dalle strade di Williamsburg a Brooklyn, Gae sembra un hipster di quelli che piacciono a me, gente della mia gente senza dubbio, quindi tutto non sarebbe potuto che andare di bene in meglio!Il discorso d’apertura l’ha tenuto Valerio, un’introduzione piuttosto lunga ma ha mantenuto viva l’attenzione dei partecipanti. Basandomi sui commenti di Brandon sembra che Valerio abbia illustrato una contrapposizione tra vini naturali e vini convenzionali, o, sempre a detta di Brandon, una: “bastardizzazione del vino.” Come Valerio ha finito il suo imbonimento è arrivato il turno di Gae di tirare il suo calcio di rigore e così siamo stati accompagnati per mano nel cuore vivo della faccenda.
La sala era tutto un ronzare e un brulicare delle conversazioni cacofoniche del pubblico intento a tentare d’anticipare l’identità del vino bendato, con la moltitudine dei camerieri saltellanti attorno ai tavoli per servire il vino e degli operatori fotografici intenti a riprendere con video e foto le successioni dell’evento. Appena servita la prima bottiglia il silenzio è calato sulla sala con i partecipanti tutti presi e concentrati a valutare il vino di prima mano. Già dopo le prime annusate e i primi sorseggi il livello del rumore di fondo si è nuovamente rialzato con la gente che cominciava a descrivere le proprie sensazioni al riguardo azzardando ipotesi e supposizioni sull’identità del vino in questione.
Il giovane seduto proprio di fronte a me (Dimitri Lisciandrello) ad esempio ne ha fatto un vero caso appassionato in merito alla sua convinzione su che tipo di vino si trattasse e alla fine, per quanto la sua ipotesi sembrasse contro corrente: “un bianco campano”, si è rivelata essere proprio quella giusta nel frattempo che gli altri partecipanti erano invece quasi tutti completamente orientati verso un’altra idea, tipologia di vino e regione vinicola.
Questa procedura, inclusi i dialoghi fra “i deputati” e i commenti dagli “imputati” in aula si è ripetuta per ogni vino e per tutta la prima batteria.
Cave Ox è particolarmente famoso per la sua ottima pizza, quindi dopo averci servito un gustosa serie d’attraenti antipasti siamo stati intrattenuti con una successione di ancor più allettanti e clamorose tipologie di pizza. Brandon sempre accanto a me e sempre così disponibile man mano mi aggiornava sui nomi e gli ingredienti di ogni tipo di pizza, su chi fossero gli altri partecipanti alla serata, le loro connessioni alle aziende vinicole visto che quella stessa sera la gran parte dei componenti del pubblico erano tutti chi produttori chi enologi chi vignaioli o comunque tutti in un modo o in un altro coinvolti nel mondo del vino.Alla fine della prima batteria tutti i vini sono stati rivelati uno ad uno. Ad ogni scoperta di bottiglia è seguito un dialogo piuttosto animato tra il pubblico e gli organizzatori, una discussione che presumo esser stata assai istruttiva e ben informata.Insomma, alla fine della serata non conoscevo neppure un’etichetta di tutti e 12 i vini scoperti ma l’intera esperienza mi ha davvero aperto gl’occhi.
C’è sicuramente maggior interazione e coinvolgimento in questo modello di degustazione che nei convenzionali format d’assaggio del vino con un oratore che conduce la parata. E veramente devo dire che bere alla cieca così mi ha quasi costretto ad usare tutti i sensi per scovare le caratteristiche nascoste dei vini sebbene non avessi alcun riferimento o parametro dalla mia parte su cui fare affidamento per una comparazione e un confronto.
Sono poi rimasto molto impressionato da un dialogo che si è sviluppato verso la fine della serata.
Appurato che il pubblico si componeva dei massimi produttori e chef della regione, un dibattito di considerevole portata filosofica è esploso verso la fine. Non ho potuto comprenderne le parole ma ne ho intuito pienamente il senso, le emozioni e le radicate convinzioni che lo animavano. Ah in quel preciso momento, quanto ho desiderato essere una mosca sul muro.
Commenti disabilitati su Champagne André Beaufort Polisy Brut Réserve + Rosè
Nel giro di una settimana – una bottiglia sull’Etna al mitologico Cave Ox di Sandro Dibella con pasta ai grani antichi e salsiccia al ceppo, l’altra a Roma da Roscioli in abbinamento sul bombolotto all’amatriciana ad altissimo livello – ho bevuto 2 differenti versioni, memorabili entrambe, dello Champagne A&J Beaufort: il Polisy Réserve Brut e il Rosè. Per tutti e due i vini ho percepito nel bicchiere una stessa vibrazione psichica, un prepotente sentimento di bellezza-e-bontà sferica immaginando queste bottiglie quali valve di un’ostrica entro cui – tempo al tempo – si deposita il carbonato di calcio che poi cristallizza nella “conchiglia in vetro” come una vera e propria perla vivente di champagne!
Commenti disabilitati su Alla cieca per vederci meglio. Contributo a una fenomenologia del sorseggio in sé
Alla cieca per vederci meglioPoetica, etica, estetica e prassi della degustazione a bottiglie bendate. Contributo minimo a una fenomenologia del sorseggio in sé.
“La vite se ne sbatte le palle del vino perché la sua natura profonda, il suo temperamento botanico è solo quello di gettare a terra il seme per rigenerarsi.”
Damijan Podversic
Assaggiare il vino senza sapere cos’è che si sta bevendo. Se non ci si fossilizza allo sterile esercizio masturbatorio-intellettualistico tra feticisti, bere alla cieca può invece assumere profondi connotati teorici di conoscenza molto pratica applicata alla materia così complessa solida/fluida che proprio il vino rappresenta.
Bere a bottiglie bendate può approssimarsi per prassi a una sana dimensione d’obiettività organolettica in cui il testo da leggere è finalmente soltanto il vino in sé nel calice del tutto liberato da inquinamenti propagandistici, pregiudizi sociali e inquietanti condizionamenti del marketing. Siamo cioè ignari del titolo di copertina quindi non pregiudicati nel giudizio critico finale dall’immagine commerciale, dall’ideologia mercantile di fondo o dal brand d’un prodotto noto riconoscibile in etichetta e perciò condizionante il nostro reticolato nervoso d’impressioni intuitive, filamenti emotivi e pulsioni affettive attraverso il cui filtro valutiamo e giudichiamo fin da subito profumi, puzzette e fragranze del liquido nel calice spaginato come un volume enciclopedico sensoriale innanzi a noi.
È il nostro sistema nervoso infatti a segnare lo schema intricato d’intuizioni e di percezioni di fondo. È (siamo) una spugna epidermica tra un fuori verosimilmente reale (il mondo esterno) e un dentro di viscere, di flussi arteriosi e d’astrazioni vascolari che configura un apparato tanto fugace eppure consistente d’impressioni messo in moto dai nostri sensi a beneficio delle semplici – che non vuol dire semplicistiche – e spontanee sensazioni personali che contano di più e cioè: mi piace-non-mi-piace, buono-non-buono, ognuno stimando secondo i propri livelli di raffinatezza soggettiva, parametri individuali di gusto che poi vanno riscontrati con variabili molto più oggettive, collettive e circoscritte quali: tipo di lavorazione nelle vigne, tecniche di vinificazione in cantina, sovraesposizione se non addirittura sopruso di queste tecniche o minor approccio invasivo possibile sia in campagna che in cantina; costo produttivo e prezzo finale, vino sterile-funebre elaborato secondo i protocolli farmaceutici da obitorio dell’enologo standard o vino vivo del contadino trapezista da millenni in bilico sull’orlo del precipizio fra l’Ossidazione e l’Aceto; e poi ancora tanti altri fattori fondamentali alla buona o alla cattiva riuscita del risultato finale nella botte prima, nella bottiglia dopo quindi nel calice e dentro di noi che lo accogliamo al termine del suo percorso partito dal seme fino all’esofago.
Abbiamo dunque solo questo vino nel bicchiere che è il romanzo da interpretare attraverso gli strumenti nudi e crudi messi a nostra disposizione dalla natura, strumenti affinati (abbigliati e cotti) dalla cultura cioè: l’olfatto, la vista, il sapore anche il suono perché no? Come di un libro di cui non conosciamo né titolo né autore dobbiamo allora provare a ricostruirne trama e struttura stilistica attraverso la lettura, capire dove va a parare dal timbro di scrittura, dalla ricostruzione d’ambienti, radiografare dalle tonalità dei dialoghi l’humus vigoroso o infetto della prosa, analizzare dallo svolgimento delle parole se il libro – cioè il vino – in questione appunto ci piace oppure no, se ha del sangue sano e ribollente a scorrergli nelle vene delle frasi o è qualche ultima lacrima di sangue pallido sottratta ad un cadavere. Il gusto a questo punto si trasfigura come fattore principalmente culturale, quindi è una specie di barometro che misura il grado di pressione atmosferica del nostro “vuoto” e/o “pieno” di civiltà.
Il libro-vino che abbiamo adesso tra le mani ci suona per caso falso? artefatto? mistificatorio? ornamentale? troppo di maniera? È solo una virtuosistica esercitazione d’arte per l’arte? un testo troppo costruito a tavolino? elaborato senz’anima o trasuda vita vera vissuta? perlustra vertiginosi abissi di dolore, di sapienze e di gioia? Sa trasmettere emozioni dirette, dure, non compromesse dai filtri frivoli, piacioni e ipocriti da best-seller della spendibilità per tutti e vendibilità usa-e-getta ad ogni fottuto costo? Sa sprizzare purezza e genialità priva di bieco narcisismo nonostante quei personaggi di carta finti eppure più veri del vero? Sa scintillare più profondo e più reale della stessa realtà? Ci fa venire i brividi alla spina dorsale? qualità rara quest’ultima ma controverifica assai certa che il grandissimo Nabokov attribuiva su se stesso – e che parametro! – alla lettura e al riconoscimento indiscutibile dei capolavori della letteratura…
Ma noi qua si sta ragionando pur sempre del vino e il capolavoro che ci scuote la spina dorsale lo dovremmo riconoscere obiettivamente sempre e comunque “a pelle” nell’aderenza assoluta fra chi lo produce e noi che lo beviamo, nel rispetto coerente del territorio, nel sacrificio degl’avi e delle generazioni future, nelle fasi lunari, nella sostenibilità del suolo e dell’habitat ma in sostanza però e non per ripetuti cliché e niente affatto per slogan tipici da stronzeggiante campagna di marketing falsona ben assestata, ma confidando nel filosofico “amore di conoscenza” per il vino – merce-vino e vino-merce – senza che chi lo produce o chi lo smercia debbano necessariamente mercificarsi a loro volta al meretricio di un mercato sempre più manipolatorio, distratto, banalizzante e vuoto che appiattisce tutto e tutti nel suo alienante tritacarne consumistico.
È materia molto scivolosa ora, incandescente come lava, è cosa ambigua – fenomenologicamente ambigua – questa faccenda del vino sempre sospeso tra soggettività e oggettività. Riguarda i gusti personali ma mette anche in circolo tutto un sistema conoscitivo pluridisciplinare di giudizi di valore che se applicato con scrupolo dal soggetto sbevazzante può figurare da metodo di inquadramento oggettivo del problema risultando alla fin fine pure quale approccio abbastanza scientifico se vogliamo – la scienza del bevitore di coscienza – o quantomeno funzionare da bussola d’orientamento su un caotico oceano mondiale di vini, di produttori, tecniche di vinificazione, filosofie produttive, scuole di pensiero enologiche, rese per ettaro, sistemi d’allevamento, sesti d’impianto, tipo di potature, lavorazione dei suoli, sperimentazioni d’affinamento, prove di macerazione, pratiche biodinamiche.
Un metodo funzionale di difficile puntualizzazione che non può essere codificabile perché ogni codificazione col tempo irrigidisce delle verità passate che diventano equivoci al presente se non addirittura bugie future: astruse regolette di scuola che si cristallizzano su se stesse perché certe verità non si insegnano ma vanno imparate singolarmente sulla pelle – possibilmente la propria -, tutta a favore dell’esperienza personale, della conoscenza incarnata e del riconoscimento con distinzione chiara e quasi sicura del verace ben separato dall’inautentico.Si tratta cioè infine di ricercare la verità fluida – stiamo sempre parlando del vino vi ricordo – la complessità in movimento di un cristallo perennemente in corso d’opera, sempre sull’atto di formarsi perché così è anche la nostra propria natura animale: deforme prima, uterina poi quindi man mano più o meno umana, grezza, sofistica, civilizzata, fallibile cioè in fase di crescita fino al deperimento terminale… una vita insomma che al pari di tutte le vite animali si sforma nuovamente con l’avvizzimento dei tessuti per giungere al decesso organico definitivo.
Geografia, agronomia, antropologia, geologia, storia, ampelografia, chimica, cosmologia, botanica, mitografia, epistemologia, tradizione orale, tecnologia, poemi epici… di quante discipline, di quanti saperi di quali linguaggi è sintesi la trasformazione fermentativa d’un solo chicco d’uva?
Ulisse con due occhi è l’eroe dell’intelligenza e dell’astuzia, Polifemo con un occhio solo è invece il cannibale mostruoso dalla brutalità e dall’istinto selvaggi.
Ulisse per accecare il Ciclope con un grosso ramo d’ulivo appuntito, lavorato al fuoco, deve però prima far ubriacare il gigante antropofago.
La forzatura metaforica viene quindi spontanea: Ulisse è il portavoce epico della razionalità, della ragione ordinatrice che per provare a se stessa la propria supremazia sul caos della natura ma soprattutto per completarsi ha necessariamente bisogno di competere contro di sé e contro una potenza maggiore. Deve misurarsi con l’impulso incontrollato della forza cieca espressa dal Ciclope portatore d’ottusità, fredda indifferenza e spietatezza, tanto da abbattere con le armi affilate della ragione imperialista il mostruoso Polifemo per superare così con orgoglio da conquistadores del Mediterraneo, con presunzione da pioniere proto-colonialista i propri oltraggiosi limiti umani troppo umani.
Tutto questo excursus omerico assieme ad Odisseo al di là del limite storico-geografico delle colonne d’Ercole, mi riporta quindi dritto dritto alla frase sboccata a caldo dalle viscere dell’amico carissimo Damijan Podversic, viticoltore nel Collio, mentre proprio poco tempo fa si discuteva assieme tra casa sua, la vigna e la cantina, si ragionava dei massimi come dei minimi sistemi attorno al cosmo dell’uva, delle macerazioni medio-lunghe, del perfetto (o perfettibile) grado di maturazione dei vinaccioli, della fermentazione spontanea, delle temperature di cantina:
“L’uomo è un cretino e la vite se ne sbatte le palle del vino perché la sua natura profonda, il suo temperamento botanico è solo quello di gettare a terra il seme per rigenerarsi. Il vino, anche se è la più spirituale delle droghe, è tuttavia solo una droga creata dall’uomo e per l’uomo il quale nel cerchio dei 365 giorni di un anno non può far altro che sbagliare“.
Ma è proprio in questo “sbagliare” aggiungerei io, nel commovente tentativo di arginare questo caos, nella forzatura ostinata e nel non evitabile margine d’errore umano è proprio qui che andrebbe quindi riconosciuta la mania dell’animale-uomo d’avvicinamento ossessivo alla perfezione – che è già questa, mi pare, una qualche lieve forma di perfezione. Siamo cioè sempre impaludati, ancora dopo secoli, nel dualismo cartesiano della res extensa e della res cogitans da cui non ne veniamo fuori se non talvolta, per pochi momenti, in quello stato d’effusione e di fusione alla natura proprio attraverso l’ebbrezza che il vino ci da’ e il vino ci toglie a suo buon cuore. L’animale-uomo dunque, eroe e cretino allo stesso tempo, aggregato indissolubile di sacrificio e di spreco, estremi irrimediabili di civiltà e selvatichezza, Polo Sud di materia e Polo Nord dello spirito.
Possiamo allora da qui, per redigere un approssimativo bilancio a queste divagazioni da vinosofi irrazionalisti, possiamo provare a sostituire Polifemo alla pianta che genera l’uva – la vite che è resistenza gigantesca, istinto rigenerativo puro – quindi rappresentarci dei tanti piccoli Ulisse negl’uomini e nelle donne che da millenni ne coltivano il frutto con l’astuzia opportunistica, il senso del dovere, la razionalità calcolatrice, lo spirito di sacrificio generazionale, la manipolazione tecnica e l’intelligenza regolatrice tanto da produrre poi quella merce artificiale-naturale-soprannaturale a seconda di chi la fa, di dove la si fa e di come la si fa, denominata VINO, nutrimento sacro allo spirito oltre che al corpo. Il vino, bevanda prodotta appunto dall’uomo e dalla donna, droga sociale ad uso esclusivo proprio dei commerci degl’uomini e delle donne i quali alla fin fine poi sempre attraverso il vino, se usato con equilibrata sobrietà – ma qui ci sarebbe da chiedersi se non sia nella natura più intima e malevola del vino anche l’abusarne proprio al fine di “squilibrarsi” -, quegli stessi eroi cretini d’uomini e donne raggiungono a seconda dei casi d’ubriachezza più o meno molesta una dimensione quasi sovrumana cioè a dire divina in cui l’Ulisse femmina e l’Ulisse maschio nostri simili diventano un tutt’uno di scaltrezza e di forza amalgamandosi alla perfezione – o alla quasi perfezione cui follemente sempre tendono – per completarsi col loro nemico più mortale cioè con Polifemo stesso.
Commenti disabilitati su Domaine Leroy Les Cazetiers Gevrey-Chambertin 1er Cru 1949
Supporto fisico a Frank nell’estrazione chirurgica del tappo di 66 anni
Tappo e capsula come fossili terrestri
Annata 1949 in Borgogna secondo Broadbent: “la conclusione perfetta di un decennio – vini eleganti ed equilibrati”; Clive Coates nel suo libro Côte D’Or: “migliore annata degl’anni ’40: bellezza e purezza al loro grado di perfezione”; Robert Parker Jr .: “è stata l’annata migliore dopo la II guerra mondiale e prima della ’59.” Henri Leroy dell’omonima Maison al tempo era négociant con sede a Auxey-Duresses; sua figlia la mitica Madame Lalou Bize-Leroy nel 1949 aveva solo diciassette anni.
Les Cazetiers è tra i Premier Cru più elevati (370 slm) di Gevrey-Chambertin se non di tutta la Borgogna.
Ho bevuto questa preziosa bottiglia sull’Etna assieme a #FrankCornelissen ed altri cari amici. Già il solo stapparla è stato una specie d’intervento chirurgico a cuore aperto. Appena cominciato a estrarre con delicatezza il tappo, uno sbuffo leggero, un brivido d’aria assieme a delle molecolari bollicine di vino sono magicamente emerse alla superficie del vecchio ma integerrimo sughero. È stato come assistere inermi alla scomparsa di un povero moribondo (ma il Pinot Nero è uomo o donna?) Insomma questo vino “umanizzato” aveva trattenuto dentro sé per 66 anni ancora esuberante “slancio vitale”, speranza, vivacità, respiro! Un miracolo di vino ancora così gustoso, robusto, agrumato, vibrante, terroso, incredibilmente vivo e ben conservato nonostante il colore e il livello del collo non promettessero nulla di tanto buono.. Infine, nutrendomi di quel succo filosofale di lunga vita, questo è quello che ho pensato in quel preciso momento e lo ricorderò finché campo: “il Gevrey-Chambertin stava aspettando proprio noi per essere bevuto e nello spirare il suo ultimo soffio ci ha così donato maggior vitalità, più gioia e più sorriso! ”
Abbinamento a dir poco insormontabile su zuppa contadina preparata con virginale dedizione verso le tradizioni del territorio e conciso spirito del focolare alla casa-bottega dagl’amici Sandro Dibella e Lucia Rampolla del Cave Ox di Solicchiata alle pendici dell’Etna assieme al sempre inossidabile Jerry Fitzgerald e alla confraternita dei Nasi Scintillanti #BevitoriIndipendenti