Ogni gioia è breve e pallido ogni raggio di sole che scivola sulle bianche montagne fino a noi.
Friedrich Nietzsche
A fine maggio ho partecipato a BorderWine, manifestazione ideata e curata da Fabrizio Mansutti & Valentina Nadin, con cui collaboro ormai già da qualche anno.
In questa edizione 2019, al quarto anno, ho avuto l’opportunità di confrontarmi assieme al pubblico con Andrea Paternoster sulle api, sul miele e l’idromiele; con Simonetta Lorigliola autrice di È un vino paesaggio, libro bellissimo su Lorenzo & Federica, Vignai da Duline, libro che dovrebbero leggere tutti gli appassionati di vino, nessuno escluso; con Carlo Nesler sull’arte del cibo fermentato a partire da un altro libro fondamentale: Il Mondo della Fermentazione di Sandor Ellix Katz; con Damijan Podversic e la sua Ribolla poderosa in 6 annate differenti; con Dario Princic, altro intransigente vignaiolo goriziano.
Il compaesano Bruno Frisini che ha già scritto altri pezzi qui su naturadellecose, era con me a Cividale. Quella che segue è la sua testimonianza “taoista” dei due giorni trascorsi allegramente assieme tra seminari, incontri, cene, bisbocce e banchi d’assaggio.
gae saccoccio
Borderwine e il Tao del Vino
Di che luce è composta la pioggia? Quando si scorge dalla finestra un piccolo raggio di sole venir fuori oltre il grigiore del cielo e della terra bagnata su cui poggia le proprie attenzioni, la pioggia diviene di colpo color oro.
Ecco, è proprio così che rivedo BorderWine con gli occhi della mente: color oro!
Ricordi di giorni piovosi illuminanti. Giorni illuminati da un nitido riverbero fatto d’orgoglio, d’appartenenza, di coerenza.
Ma di cosa parliamo esattamente?
Esaminarlo soltanto come fenomeno rappresentativo di un movimento appare, forse, un restringimento di campo scontato e già ben sottolineato da altri.
Curiosando sul sito si nota una breve ma significativa descrizione che fa riferimento all’importanza dell’artigianalità non fine a se stessa ma strettamente collegata ad un territorio, nella fattispecie il Friuli Venezia Giulia, Austria e Slovenia comprese in quanto terre confinanti.
È palese come questo coincida alla perfezione con i ragionamenti fatti e le impressioni condivise nella intensa due giorni di Salone del Vino Naturale svoltosi il 26 e 27 maggio a Cividale del Friuli nel Tempietto Longobardo, cornice di commovente bellezza.
Qual è, allora, la vera identità di BorderWine? Che ruolo ricopre nei confronti di tutte le iper-frammentate correnti di pensiero che orbitano attorno al vino artigianale? Ha una reale funzione di volano all’interno di un mercato fortemente aggressivo e selvaggio come quello dell’agroalimentare?
Ritengo necessaria, al riguardo, una breve parentesi di carattere storico-paesaggistico, utile chissà, ad argomentare e dare sviluppo ad un tema che non si può certo esaurire in poche righe.
Cividale è un gioiellino urbanistico che si è impreziosito passando di mano in mano nelle varie epoche e dominazioni. Si attestano ritrovamenti di origine Paleolitica, Neolitica e Celtica ma il nucleo pulsante della città è stato edificato in età romana (probabilmente per volontà di Giulio Cesare, considerato il posizionamento strategico). Nel VI sec. d.c. vi si sono insediati i Longobardi che negli anni ne hanno accresciuto il potere ecclesiastico/spirituale. Nell’VIII sec. d.c. i Franchi l’hanno eletta a capitale della marca orientale del Friuli per poi divenire uno stato patriarcale del Sacro Romano Impero e, diversi secoli più tardi, dominazione della Serenissima.
Arriva ai nostri giorni dopo guerre, confini continuamente rivisti e milioni di parole pronunciate mai nella stessa lingua. Uno strato sopra l’altro fatto di tante culture e frastagliati orgogli etnici che segnano Cividale (Forum Iulii, Civitas, Civitas Austriae, Civitate, Sividàt, Zividàt, Cividàt che dir si voglia) nel bene e nel male della propria peculiarità di città “in limine” cioè di confine.
Lo scenario che si distende dinanzi gli occhi di chi vi si imbatte è da sospendere il fiato in gola. La stessa alternanza di popoli si palesa nello svolgimento urbanistico. Edifici che raccontano di un’identità fatta di strenue fatiche e lasciano il visitatore sospeso in un limbo indefinito di epoche, culture, tradizioni.
Il tempietto Longobardo, incastonato all’interno del monastero di Santa Maria in Valle, è il più fulgido esempio di questa meravigliosa stratigrafia umana, prima ancora che diamante architettonico a sé.
Non è quindi più un caso, fatte tali premesse, che sia stato proprio questo il luogo prescelto per mettere in atto la rappresentazione di uno spettacolo vinocentrico che appare, ad occhi meno distratti, come paradigma centrale di secoli di storia.
Ora, da una prospettiva grandangolare, ad uno sguardo più circostanziato e voyeuristico, immaginiamo di spiare dal buco di una serratura l’attività che ha preso forma all’interno del monastero nei due giorni del Salone. La prima sensazione, quella più istintiva, è l’immediato desiderio di conversione (tanto per restare in tema ecclesiastico) verso lo spirito artigianale che satura l’atmosfera, lasciando impressa nella memoria come un ideale di purezza perduta.
Caleidoscopio di immagini e figure strettamente connesse all’artigianalità del cibo, del vino, di svariate arti e mestieri, BorderWine oggi lo immagino come una specie di Tao che rappresenta pienezza e vuoto al tempo stesso.
Passeggiando e meditando sotto il chiostro tra i vari banchi dei produttori, si fa sempre più nitida la logica di fondo sottesa all’evento che racchiude una congruenza di pensieri e gesti, di idea e d’azione. Sembra passare in secondo piano se nel bicchiere viene versato Zibibbo pantesco o Blaufränkisch dell’Austria. Ciò che emerge è pura spontaneità. Abituato tuttavia a considerarla come elemento marginale, non per forza sinonimo di artigianalità e autenticità, proseguo nella mia analisi certo di aver dato quantomeno uno sfondo a quella che sarà la questione nodale da cui mi auguro si sbroglieranno diversi spunti di riflessione.
Non possiamo accontentarci di una visione superficiale se vogliamo comprendere come questo movimento dei “vini naturali” possa inserirsi in complesse dinamiche commerciali, differenziando una proposta di vino artigianale troppo spesso confusa e talvolta ingannevole.
Basti pensare, in un’ottica globale di appiattimento del gusto, al discorso del “naturale” come comunicazione distorta in partenza. Da una parte il vignaiolo tacciato di poca consapevolezza enologica, genitore di vini poco raffinati, dall’altra l’industria del vino, creatrice di vuoti slogan pubblicitari nel tentativo di dispensare rassicuranti messaggi narcolettici.
Da qualsiasi punto di vista lo si osservi, il concetto di “naturale” induce in errore se non sviscerato con la dovuta attenzione.
A tal proposito le nostre argomentazioni spostano nuovamente la loro messa a fuoco su BorderWine e sull’importanza che al suo interno assumono i seminari.
Tra un sorso e l’altro, infatti, si assiste al ben riuscito tentativo di cristallizzare concetti, temi e idee attraverso incontri calibrati con ospiti e produttori, intenti all’approfondimento di questioni centrali, altrimenti irrisolte con il solo assaggio o il solito pretesto per ubriacarsi che fa gola a molti.
L’approccio è di quelli che rapiscono l’attenzione per poi stringerla in una morsa fatta di stimoli e provocazioni che si allenta solo con il palesarsi di maggior coscienza e consapevolezza in chi ascolta.
Ciò che colpisce di più è l’assoluta corrispondenza dei temi trattati nonostante possano sembrare a una prima vista, lontani e sconnessi tra loro.
In quest’edizione ho trovato riscontro di quanto appena espresso in tutti i seminari a cui ho partecipato. Ho notato un po’ a malincuore una divulgazione disomogenea dei suddetti all’interno del salone. Eventi di tale portata meritano probabilmente una più mirata pianificazione pubblicitaria affinché ogni presente ne venga messo a conoscenza, coinvolgendo pubblico, operatori e produttori. Un cartellone dedicato ad ogni singolo seminario, magari affisso all’ingresso delle sale degustazione, e una comunicazione cadenzata da parte delle hostess riguardo il programma del giorno, avrebbe reso senza dubbio più completo l’ottimo lavoro iniziato sui social.
La chiave di lettura in cui ho potuto osservare dal buco della serratura lo svolgersi interno ed esterno di BorderWine, riportava tutto ancora una volta, a un senso orientale di “pienezza del vuoto”.
Andando nel dettaglio, questa logica di pensiero assolutamente esotica/asiatica, crea dei legami fortissimi tra BorderWine e i produttori, tra relatori e pubblico.
L’agire senza agire è alla base di tutto ciò che è accaduto e accadrà all’interno del tempietto Longobardo durante i due giorni di salone.
Dario Princic esprime con fare deciso l’estrema facilità con cui una grande uva possa divenire un pessimo vino se l’azione di cantina superi per visione, peso e rilevanza l’azione-non azione svolta nei campi.
“Il vino lo facciamo sulla pianta e qualche volta lo roviniamo in cantina!”
Con queste parole (e che parole!) di un vignaiolo burbero, austero e autentico come i suoi vini, chiudo, anzi socchiudo la mia esperienza a BorderWine.
C’è una forte simmetria. Una struttura invisibile, capillarmente organizzata, costruita su basi solide, che guarda con metodo ad una viticoltura sostenibile e quindi durevole e redditizia.
La preservazione del terroir (come spesso mi capita di rilevare), che si traduce in tipicità e qualità, è l’unica vera prospettiva che mette in relazione le società umane con il proprio habitat naturale che ha modellato il paesaggio, conservato biodiversità, custodito differenze sociali e culturali fondamentali.
In concreto per le società umane e le aggregazioni di individui – eventi come BorderWine in questo possono assumere un ruolo davvero cruciale – il fine ultimo è quello di individuare e perseguire un’insieme di pratiche comuni in grado di preservare i terroir e la loro produttività.
Non basta solo l’etica ecologista in quanto tale per spingere un prodotto o un produttore sul mercato e di conseguenza nei complessi meandri della cultura umana.
Da qui si potrebbero aprire numerosissime finestre che ipotizzano una viticoltura ragionata che andrebbe a toccare ogni livello della filiera. Ciò nonostante il nostro fine iniziale era quello di focalizzare in maniera più attenta la fenomenologia di un movimento che sente, a mio avviso, troppo stretta la veste assegnatali di salone del vino “naturale”.
BorderWine è sostenibilità, competitività economica, preservazione e salvaguardia del patrimonio ambientale, salute umana, qualità globale.
Il vino artigianale ha bisogno di tanti BorderWine e non il contrario come si tende semplicisticamente a credere.
Bisogna certe volte invertire i fattori e osservare la realtà al contrario, dalle proprie ombre, sfidandola, se si vuol raggiungere la meno illusoria possibile… natura delle cose.
Bruno Frisini