La filosofia insegna ad agire, non a chiacchierare, ed esige che ognuno viva secondo i propri principi affinché la vita non sia in disaccordo con la parola o addirittura con se stessa.
Seneca, Lettere morali a Lucilio (Libro II)
Enologia del passato e omologazione attuale
A sfogliare un glorioso manuale d’enologia usurato dal tempo (1912), la primissima impressione che se ne trae, già solo setacciando l’indice analitico, è di uno scompenso evidente tra la Prima parte più striminzita dedicata agli ELEMENTI DI ENOCHIMICA (poco più di cento pagine) e la Seconda parte molto più corposa consacrata alla ENOTECNIA (le restanti ottocento pagine).
Normalmente la tendenza istintiva quando facciamo dei confronti con l’enologia del passato è quella di idealizzare il tempo che fu. Tendiamo cioè, con una certa ingenuità, ad applicare una visione più sentimentale della scienza e della tecnica che sicuramente non erano così invasive, impattanti, tiranniche come sembrano invece essere diventate la Scienza e la Tecnica attuali. Eppure basta soffermarsi a leggere qualche paginetta di questo manuale dell’Ottavi riveduto dal Marescalchi ormai centosette anni fa, per riproporzionare la presunta bontà tecno-scientifica dello stesso e rivedere con occhi meno imbambolati quella che è soltanto l’illusoria semplicità artigianale dei nostri antenati.
Vediamo assieme ad esempio il Capitolo IV dedicato a I CORRETTIVI DEL MOSTO.
“I vini che si pongono in commercio in Italia per consumatori paesani ed all’estero.” È a tutti gli effetti una discriminazione razziale/classista bella e buona tra i consumatori ordinari e grossolani, cioè “i bevitori da bettola” che bevono vini dal sapore astringente e aspro, e i consumatori di città, i borghesi, quelli all’estero che non badano all’andamento agricolo e “vogliono sempre lo stesso vino”, ragion per cui si pone la necessità di correggere i mosti per dare vita a un commercio duraturo. Diventa cioè addirittura necessario piegarsi alla legge della domanda di vini sempre uguali a se stessi e rassicuranti se si aspira a farsi una solida clientela sui mercati esteri.
In queste due inquietanti paginette possiamo osservare quasi al microscopio il conformarsi del batterio di una particolare tipologia di peste che ai nostri giorni ha contaminato qualsiasi settore commerciale, ovvero la peste della manipolazione del gusto soggettivo ottenuta attraverso le “correzioni” tecniche e scientifiche oggettive di un prodotto alimentare il cui ingrediente originario di partenza, come in questo caso, è semplicemente l’uva. Nessuna paura, è successa la stessa cosa anche con tutte le altre basilari sostanze merceologiche (zucchero, sale, riso, grano, latte etc.)
Sono pagine che oggi più che mai fanno riflettere sul senso ultimo dell’oggettività scientifica; sull’abuso dell’onestà intellettuale da parte di chi questi manuali “ideologici” li ha scritti per fabbricare proselitismo e li ha imposti alle accademie conniventi a loro volta con gli interessi della nascente industria enologica. Istituti universitari e centri di ricerca che hanno utilizzato questi tomoni quali libri di testo professionale a maggior ragione che su volumi dello stesso stampo si sono formate generazioni e generazioni di enologi che hanno tiranneggiato l’ambiente – tiranneggiano tuttora – promulgando la loro monocorde visione dell’agricoltura e della vinificazione su tutta la filiera produttiva (vigna/cantina), dettando legge sul mercato proprio a partire da quella “esigenza del grande commercio a cui è necessario piegarsi se si aspira a farsi una solida clientela.”
Così come si possono modificare, adulterare e migliorare i vini rossi, bianchi o passiti allo stesso modo si possono costruire con Tecnica e Scienza, i Vini da Pasto, i Vini da Commercio o addirittura i Vini di Lusso. Al datemi una leva e vi solleverò il mondo di Archimede da Siracusa si sostituisce insomma l’onnipotente datemi miliardi di palati singoli e vi farò un unico gusto adatto per tutti i gusti dell’enologo-demiurgo-sofisticatore moderno.
Si parte proprio dal correggere i mosti per poi modificare pian piano i gusti individuali cioè le tendenze naturali dei singoli individui. La propensione innata al dolce piuttosto che al salato o all’acido, adulterando fin dalla nascita dei bambini i liberi desideri delle persone, sofisticando nel profondo i parametri interiormente soggettivi di intere popolazioni al grado di piacevolezza o di sgradevole, di buono o di cattivo, di puzzolente o di profumato, di saporito o di sciapo. Così da ottenere, con l’omologazione del vino, l’omologazione stessa del palato quindi l’appiattimento precostituito su larga scala del cervello, uniformando all’origine le variabili sensoriali multiformi di interi popoli e paesi, castrati nella loro istintiva capacità di sentire e gustare quel che vogliono senza intermediari, né scale di valori artefatte a mestiere, né condizionamenti industriali.
Restando ancora nell’ambito archeologico della scienza enologica, un esempio illuminante di questa castrazione applicata sui sensi che è un vero e proprio sopruso civile e una feroce violenza sulla libertà di pensiero, lo ritroviamo sempre nel trattato di Enologia dell’Ottavi che alle pagine sia iniziali che finali del suo volume riporta sfacciatamente le pubblicità di alcuni prodotti d’enologia che guarda caso è la medesima azienda di famiglia, CASA AGRICOLA F.lli OTTAVI, a vendere. A giustificazione coerente del titolo ENOLOGIA TEORICO-PRATICA dove alla teoria pensata esclusivamente per vendere un prodotto commerciale a quanta più gente possibile, segue la pratica svergognata di rivendere a colpi di teorie ingannevoli, nel libro, ciò che si elogia ai propri studenti ovvero ai futuri enologi a loro volta o ai clienti potenziali se mai diventeranno produttori di vino. Smascherandosi così, senza troppe sovrastrutture mentali, quale presunto trattato scientifico formativo di una professione altrimenti nobile, in quel che invece è per davvero, cioè uno sguaiato catalogo di prodotti chimici e strumenti industriali pro domo sua.
Possiamo infine ritrovare in questa brutta parabola dell’Ottavi un capostipite di quel genere di capitalismo avanzato nel quale stiamo vertiginosamente sprofondando da anni. Pensiamo ai tanti, troppi enologi Ottavi dei nostri giorni. Riduzionisti della complessità. Banalizzatori del gusto. Standardizzatori del sapore. Scienziatoni alla moda, accademici tromboni, professoretti ex cathedra, profeti del gusto unico, consulenti finanziari d’aziende vinicole, flying winemakers i quali alla fin fine non sono che degli appestati travestiti da medici del vino mentre con le loro formulette magiche vincenti sul mercato pretendono indicarci qual è il Male che loro stessi stanno propagando. Eppure, benefattori della viticoltura planetaria, ci offrono la ricetta pratica assieme al farmaco e alle spiegazioni teoriche d’uso dello stesso perché non si accontentano di sembrare solo la peste e il medico assieme, no, ma pretendono essere pure l’informatore farmaceutico che impasta il filtro magico e il sapientone super partes che rivende quel beverone a un’umanità sterilizzata nel gusto, abbeverata alla fonte della esclusiva conoscenza imparziale: L’ENOLOGIA TEORICO-PRATICA… di ‘sta minchia!