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Assaggi di Paesaggi: Gente del Syrah tra Cortona e il Rodano

16 Febbraio 2016
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Apice

Fine settimana invernale di ricognizione alle radici della – o del – Syrah assieme alla mia amica Daniela Paris e ad un gruppo di seri appassionati, esploratori di vino e vigneti al seguito. L’idea al fondo di questa avventura tra bicchieri botti e vigneti concepita da Daniela è quella di seguire la scaletta delle AOC del Rodano dove protagonista esclusiva è proprio l’uva Syrah a confronto con alcune espressioni della DOC Cortona che è appunto principalmente basata su questo vitigno con lo scopo ultimo di approfondire l’uva in maniera trasversalmente originale nel confronto serrato tra zone, terroir e produttori diversi tanto che a partire da questo primo tentativo assai ben riuscito – bisogna subito anticipare -, ci abbiamo imbastito su un format-formativo da ripetere nel futuro prossimo anche su altri vitigni quali ad esempio Pinot Nero, Cabernet Sauvignon, Chenin, Fiano, Trebbiano etc.

L’appuntamento è all’Abbazia benedettina di Farneta (Cortona) poi tutti in direzione della adiacente realtà utopica o meglio dell’utopia reale messa in piedi – è già passato oltre un decennio – da Stefano Amerighi. Stefano è oramai riconosciuto quale un guru della viticoltura biodinamica a cui però sta assai stretta qualsiasi definizione riduzionista a maggior ragione gli sta stretto proprio questo ruolo di santone steineriano affibbiatogli un po’ dall’alto di un disorientamento linguistico piu o meno interessato dal marketing, una distorsione settaria dovuta cioè a un bailamme comunicativo generale scatenato dai fin troppo abusati e sempre più usati a sproposito termini relativi alla filiera produttiva alimentare quali: naturale convenzionale chimico invasivo biologico industriale sostenibile

In parole semplici ma dirette, così Stefano spiega il suo giovanile avvicinamento all’approccio biodinamico: “Ho visto tanti amici, vicini e familiari morire di cancro in campagna per un uso smodato dei pesticidi, fitosanitari ed altri trattamenti brutalmente imposti dall’industria farmaceutica… non avevo certo voglia d’ammalarmi anch’io di chimica.”2

Nonostante la giornata nuvolosa riusciamo a scampare la pioggia prevista, a passeggiare senza infangarci troppo affiancando i filari esposti da un fronte verso Cortona, dall’altro a Montepulciano in un centro sferico ideale a predominio della val di Chiana. Costeggiamo la vigna dov’è la cantina in cima al colle che viene imbottigliata come Apice, la selezione cioè di syrah che esce solo nelle annate più esclusive. Intanto che dall’appennino nuvoloni sempre più tumefatti di viola minacciano l’orizzonte, Stefano ci racconta subito di sé, della sua realtà agricola radicata nel territorio, delle tradizioni, degl’antenati, della sua visione del mondo, del cibo in famiglia, dell’etica aziendale concepita come una famiglia ingrandita, dei preziosi collaboratori, del presente ma soprattutto del futuro dell’economia agraria: “Si può fare della bellisima viticoltura ma solo se non è separata dall’agricoltura.” 1Ci parla poi ancora del vino suo: “saranno pure vini spettinati per qualcuno, ma con un sorriso grande così!” E così via su queste corde armoniche di pensieri e sentimenti, si è chiacchierato del vino altrui, del caos ambientale e degli eccessi della tecnologia mentre eravamo simbolicamente proprio davanti alle fattrici Chianine dai nomi declinati sul “violaceo” eccetto che per Bianchina: Camilla, Fiorina e Lilla. I bovini sono da considerare come pilastri ruminanti a fondamento della sua concezione totale della biodiversità del suo progetto anti-dogmatico ma razionale di una biodinamica applicata all’esperienza. Un’attitudine spirtuale concreta intesa alla pratica agronomica, alla ricerca sperimentale continua, al superamento dell’errore, dei dubbi o delle continue insidie originate dall’annata, vendemmia dopo vendemmia. È l’esperienza innanzitutto, sono i fatti che dimostrano le teorie e non il contrario e proprio questo sta appunto a dimostrarci in carne ed ossa oggi Stefano Amerighi con i fatti ovvero con la sua fattoria: sogno in fieri realizzato eppure sempre in fase di realizzazione di un podere agrario sano, di un virtuoso sistema terra-cantina autosufficiente e ciclico dal concime al compost, dall’inerbimento al sovescio al sano impasto di sabbia e argilla su cui si nutrono al meglio le radici sia delle viti che degl’alberi da frutto, degli olivi e del seminativo in generale. Una fattoria utopica dicevamo che diventa anche fucina virtuosa per molti futuri giovani enologi in atto, viticoltori in proprio e agronomi in potenza. Tanti gli studenti che l’Università di Pisa, con cui Stefano collabora attivamente ormai da anni, gl’indirizza di volta in volta durante l’anno in qualità di stagisti per alcuni periodi d’apprendistato a farsi le ossa e la formazione.5

La visione olistica di Stefano Amerighi insomma accoglie il sopra e il sottosuolo, l’agricoltura come l’allevamento stringendo in un abbraccio a misura d’umano l’organismo sempre parziale della Natura pur in tutte le sue difficoltà, inganni e contraddizioni. In cantina assaggiamo l’annata 2015 che mi è parsa già miracolosamente pronta proveniente da vari lotti di vinificazione. Di vinificazioni ne sono state fatte più di venti a seconda delle parcelle d’esposizione, della struttura del suolo o degli innesti il che è già un fatto incredibile considerando che poi saranno utilizzati come taglio per confluire in un solo vino alla fine dei conti  se escludiamo l’Apice di cui comunque se ne produce una quantita irrisoria e solo se l’annata lo permette. Successivamente ci dedichiamo agli assaggi di qualche prova della 2014 sia da vasca in cemento che da orcio in terracotta che da ceramica perché tante – senza dimenticare i tonneaux di rovere – sono le prove e i materiali di affinamento ai quali Stefano negli anni ha affidato la sua curiosità di vignaiolo scrupoloso costantemente alla ricerca dell’equilibrio instabile e del vino ideale.8 Una stessa sana irrequietezza che ci ha portato assieme a lui oggi a confrontare il suo vitigno di casa con altre espressioni del syrah. Il syrah appunto o meglio la syrah: “anche se a declinarlo al femminile come dovrebbe essere fatto mi sento sempre un po’ scemo quando mi ritrovo a nominarlo così davanti alla gran parte della gente…” L’esercitazione della giornata consiste quindi in un confronto a pranzo con alcuni dei suoi produttori di riferimento in Côtes-du-Rhône mentre poi a cena si continuerà lo stesso gioco – un gioco però alquanto serio – da Tenimenti d’Alessandro conosciuta nei secoli precedenti come Podere di Manzano, ed è l’azienda che ha fatto un po’ la storia della viticoltura di pregio nella val di Chiana aprendo per prima la strada alla DOC del Cortona Syrah.

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Dunque avviniamo i bicchieri con il rosato di Stefano il Syrosa 2014 concepito non per salasso ma da vinificazione in bianco. Stefano nel frattempo è ai fornelli a scaldare i fegatelli sfumati al vin santo – antica ricetta di famiglia – io invece brusco sulla griglia il pane sciocco alla brace del camino con cui prepareremo dei crostini sopra cui mangiare quegli stessi fegatelli odorosi o per immergerlo magari in quella che si rivelerà poi essere una gustosissima zuppa di fagioli piattellini e cavolo nero altra superba ricetta preparata dalla mamma di Stefano.

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I formaggi d’interemezzo pure sono delle delizie assolute che ha procacciato Daniela direttamente dal Comptoir de France in Prati.

Escluse due icone nell’olimpo dell’enologia del Rodano Auguste Clape e Thierry Allemand di cui però si fa cenno continuamente durante tutti i discorsi della giornata come fossero punti cardinali indiscutibili nell’orientamento attraverso la costellazione relativa al vitigno, seguono alcuni altri syrah esemplari selezionati da anni di ricerche appassionate e di visite continue in Francia che Stefano ha fatto ai produttori da lui più apprezzati a Cornas a Saint-Joseph ad Hermitage o in Côte-Rôtie.

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Devo dire che a parte la riconferma di un lavoro eccelso sulla finezza della trama e la freschezza della polpa del Cornas di Michel Robert – ed era un 2006 ma sembrava imbottigliato giusto ieri in quanto ad integrità, vibrazione epidermica e pulizia – il vino che mi ha lasciato più di tutti una sensazione di meraviglia prima al naso poi in bocca infine nella mente – e questo per tutta la durata del giorno – è stato il Cornas mitologico del vecchietto Marcel Juge che Stefano è andato a trovare poco tempo fa in cantina raccontandoci anedotti deliziosi. “Bussiamo alla sua porta, una casa di campagna umile e molto comune. Ci apre e ci mantiene sulla porta per una buona mezzoretta al freddo cominciando a raccontarci la storia della Francia dagli antichi romani ai giorni nostri… il discorso dell’arzillo Marcel prima di portarci finalmente giù in cantina ad assaggiare il suo vino dalle botti è terminato così: vedete, questa è la storia della Francia… quindi è anche un po’ la mia storia!”

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Stefano c’illustra i syrah che andremo a bere a pranzo

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  • Michel Robert Cornas Cuvée des Coteaux 2006
  • Guillaume Gilles Cornas millésime 2013
  • Marcel Juge Cornas 2012
  • Fabien Bergeron Domaine La Tache, Badel n’est pas un Saint (Vin de France) 2011
  • Stefano Amerighi Apice 2010 (bottiglia più unica che rara di millesimo sublime che Stefano ha intenzione di murare assieme a tante altre grandi bottiglie della medesima annata a beneficio della figlia piccola che potrà poi ritrovarsele in dote al volgere del suo… non diciottesimo bensì ventunesimo compleanno.)

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Prima di cena, cartine topografiche alla mano, Daniela a beneficio di tutto il gruppo imbastisce in forma d’informale chiacchierata tra amici un generale riepilogo geografico sulle denominazioni, le differenze d’esposizione, le composizioni dei suoli, le variazioni d’altitudini del Rodano intero, dalla Côtes du Rhône e Châteauneuf du Pape a Sud, alla Côte-Rôtie e Vienne a Nord. 21

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Daniela Paris

Dai vitigni del Rodano – come qualcuno ha ricordato che solo pochi decenni fa venivano utilizzati quale uva da taglio per cedere più corpo e colore al ben piu esile Pinot Noir della vicina Borgogna, ovviamente a ricicciare quelli di fattura più dozzinale, – si è passati a discutere delle classificazioni e di disciplinari, finendo poi per ragionare del cambiamento climatico, dei provvedimenti talvolta drastici che alcuni vignaioli stanno prendendo al fine di fronteggiare l’aumento medio della temperatura annuale oppure di come alcuni champagniste dell’ultima generazione stiano invece tenendo sempre più in considerazione l’ipotesi d’investire sulle ancora vergini coste meridionali dell’Inghilterra dove si è cominciato a fare vino spumantizzato già è ormai più di qualche anno.

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A cena siamo stati quindi all’Osteria del Borgo Syrah sotto la direzione culinaria dello chef Luca Fracassi che ha ideato il menù della serata come fosse un viaggio ironico non a km 0 bensí a km 901, disegnando un itinerario di materie prime e prodotti tipici dalle varie tappe gastronomiche toccate nel tragitto culinario che origina giusto da Cortona e finisce ad Ampuis attraversando Livorno dunque Cuneo (i porri di Cervere con cui ha fatto il ripieno dei tortelli mantecati nel beurre d’Isigny sono indicativi) e Gap (per la ganache al cioccolato di zona: Valrhona).

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Tortelli a porro di Cervere burro d’Isigny parmigiano 36 mesi
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Ganache al cioccolato con crumble di mandorle e gelato alla crema
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Tra vigne centenarie di Grenache a nord di Santa Rosa, Sonoma CA

Filippo Calabresi è il giovane produttore, il carissimo amico oggi dietro l’azienda Tenimenti d’Alessandro proprietà di famiglia che fin dagli inizi – negl’eccessivamente “internazionali” o troppo Supertoscani primi anni ’90 – ha visto avvicendarsi sia in vigna che in cantina consulenti vari ed enologi di fama. La prima linea guida impostata sul campo fin da quando negli ultimi tre anni Filippo ne sta prendendo man mano le redini con sempre maggior determinazione, è stata la conversione quindi certificazione dell’azienda al biologico. La prospettiva dinamica di Filippo – sebbene con un’eredità molto impegnativa e un’identità territoriale niente affatto facili da sostenere – è focalizzata nella medesima direzione tracciata da Stefano Amerighi almeno per ciò che concerne il rispetto dell’ambiente, la preservazione del terreno, l’integrazione del territorio al lavoro umano, accuratezza e sostenibilità sia in vigna che in cantina, abbandono di qualsiasi apporto chimico invasivo ancorché dannoso alla sanità della vigna quindi di conseguenza nocivo alla salute delle persone. Ma meglio lasciare a Filippo esprimere la sua idea e pratica del vino in fieri a partire proprio dall’annata 2010 che abbiamo assaggiato assieme ad altri vini aziendali in un confronto incrociato assai interessante con dei Cornas dei Saint-Joseph e Crozes-Hermitage che elencherò poi più sotto.

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Filippo Calabresi:

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Filippo tra le vigne di Manzano assieme al fraterno e comune amico Suzuki-san

Il Bosco 2010 è stato il primo vino che ho trovato in cantina non appena arrivato in azienda. I 4 lotti che avrebbero poi formato il blend finale erano in barrique (per metà nuove) da circa 2 anni, pronti per essere assemblati e subito imbottigliati. Decidemmo invece, dopo il travaso, di mandare il vino nelle botti grandi per un altro anno, imbottigliarlo (senza chiarifiche) e tenerlo in bottiglia per ulteriori 12 mesi. Volevamo alleggerire la struttura del vino; attenuare concentrazione e alcolicità per enfatizzare certe peculiarità aromatiche su tutte la speziatura e la mediterraneità figlie rispettivamente tanto del Syrah che della Toscana.
Abbiamo affrontato tutte le vendemmie successive con lo stesso approccio semplificativo a minor impatto di manipolazione cioè: portando al minimo le estrazioni durante la vinificazione e interrompendo del tutto l’utilizzo di legno nuovo nella fase di maturazione; lasciando i vigneti al loro corso spontaneo prevedendo solamente cure preventive di zolfo e poltiglia bordolese – in dosi minime -, abolendo perciò tutte quelle pratiche più convenzionali e se vogliamo impattanti che sino ad allora caratterizzavano gran parte del territorio e in parte l’azienda con i suoi 36 ettari di vigne a regime. Oggi Il Bosco fermenta a grappolo intero (50%) e macera circa un mese sulle bucce, matura un anno in barriques (legno stanco di 3/4 anni), 2 anni in botte grande e 1 anno in bottiglia.

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Cantina di Tenimenti d’Alessandro, foto di Carlo Ionta (Wine Ways)

Questa infine la batteria delle bottiglie a cena e probabilmente si tratta di vini più “pettinati” ma altrettanto sorridenti se vogliamo restare ancora nella illuminante metafora “barbieristica” lanciata da Stefano in mattinata a proposito dei suoi vini che lui stesso definisce spettinati così come nella linea ideale degli altri suoi vini modello e viticoltori di riferimento selezionati nella propria cantina personale ed assaggiati da lui a pranzo in questa gloriosa giornata appena trascorsa tra cibi vini assaggi e argomenti più vari intessuti tra uomini e donne raggianti ed irraggiati dal sorriso, dalla fame di conoscenza, dalla sete di vita, dalla civiltà della conversazione e dallo scambio di culture.IMG_6561

  • Tenimenti d’Alessandro, Il Bosco Syrah 2010
  • Tenimenti d’Alessandro, Migliara Syrah 2006
  • Tenimenti dlAlessandro, Il Bosco Syrah 1997
  • Chateau de Saint Cosme Louis et Cherry Barruol Cotes-du-Rhone 2014
  • Chateau de Saint Cosme Louis et Cherry Barruol Croze-Hermitage 2014
  • Pierre Gaillard Saint-Joseph 2014
  • Ferraton Père et Fils Cornas Les Grands Mûriers 2008
  • Ferraton Père et Fils Côte-Rôtie L’Egaltine 2006
  • Delas Hermitage Domaine Des Tourettes 2009

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A spasso tra le vigne di Manzano. Foto di Carlo Ionta (Wine Ways)

Metodo Classico 2014 dalle Vigne d’Ornina (Casentino)

13 Febbraio 2016
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Azienda Agricola Ornina.

Inverno

Sabrage di spuma e fecce col coltello da pane altroché sciabole! Di un rosa struggente, sostanza cremosa e bolle tante seppur crude, è presto ancora. Ne ha senz’altro un bel po’ di anni davanti a sé, tutto il tempo e lo spazio sopratutto di riposare sui lieviti in cantina prima d’affinarsi per benino, ma già adesso a un primo assaggio l’esperimento sembra assai riuscito e fa presagire una esemplare compiutezza futura.

Evviva Marco Biagioli, evviva il suo metodo classico del Casentino a base delle sue vecchie vigne d’Ornina (Sangiovese Malvasia Trebbiano) della ostica annata 2014!sabragemeetIMG_6457

Autunno

Sempre rimanendo in ambito di sperimentazione curiosa e divertita ma portata avanti con onesta serietà, abbiamo invece qui delle uve Aleatico del Casentino; aleatico del casentinocon queste piante relitto recuperate dal C.R.A. per la viticoltura di Arezzo, Marco ha tirato fuori un vino che relitto non è proprio per niente, anzi! Damigiana da 28 lt la produzione totale e questa è la num. 26 delle 37 bottiglie prodotte!

Appassimenti

L’appassitoio è parola splendida che odora – dolceamara – d’autunno. Parola e luogo che sanno di bucce d’uva che s’aggrinzano, impregnati d’una certa nobiltà delle muffe e peccaminosa santità contadina, spaziotempo più della memoria, solaio riposto di strumenti antichi, angolo d’ammutolita penombra dove dita sapienti intrecciano fili di corda ai frutti dell’estate sfumata via.

Appassitoio

 

Ivan Illich, Nemesi Medica. L’espropriazione della Salute, (Paravia Bruno Mondadori)

12 Febbraio 2016
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Ivan Illich, Nemesi Medica. L’espropriazione della Salute, Paravia Bruno Mondadori Editori 2004. Titolo originale: [Medical Nemesis pdf version] traduzione dall’inglese di Donato Barbone.

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Ampeleia 2004 – IGT Costa Toscana

10 Febbraio 2016
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Ampeleia

Ampeleia, al di là di questa cantina nel cuore della Maremma c’è una coppia svizzera, gli originari proprietari che acquistarono il podere abbandonato negli anni ’60: Erica e Peter Max Suter. Il forte medioevale di Roccatederighi è proprio lì a due passi che si distende sulle colline metallifere. L’avventura agricola vera e propria Ampeleia così come la conosciamo oggi, nasce però nel 2002 con il contributo carismatico dell’Elisabetta Foradori assieme a Giovanni Podini. Molti dei loro vini portano nomi che richiamano idee ancestrali e concetti profondi ripresi dalla cultura greca antica: Kepos, Empatia, Ampeleia. Ora è fin troppo risaputo che il più grande nemico in Maremma è un eccesso di calore o una troppa esposizione delle viti al sole, da cui potrebbero risultare vini mollicci o sgradite surmaturazioni. Come fanno dunque ad Ampeleia a combattere contro un tale insidioso avversario? L’altitudine! In realtà “tre altitudini” diverse come ci tengono a ricordare Marco Tait, Simona Spinelli e Leonardo Mucci che sono i veri motori mobili ed immobili dietro il magnifico progetto di cui si ragiona! Ampeleia di Sopra è dove troviamo appunto il più dei vigneti tra 450 e 600 metri s.l.m. ed è proprio questa gradazione d’altitudini la ragione principale nello specifico dell’etichetta che qui si sta trattando a fare la sostanziale differenza. Ecco allora la vendemmia 2004 di questo assemblaggio di Cabernet Franc, Sangiovese ed altri quattro vitigni Mediterranei che nonostante i suoi 12 – dodici – anni sul groppone eppure suona così fresco al naso e canta in bocca ancora assai vibrante, ventilato di mentuccia e origano, saporoso, ininterrotto pentagramma di frutti armonici e bilanciata acidità! ampeleia retro

Nella piovigginosa luce di un tardo pomeriggio di febbraio a piazza San Francesco proprio affianco al ciclo leggendario di affreschi della Vera Croce. In bottega – Terra di Piero tanto per esser chiari – dall’oste più brillante del circondario l’amico caro Cristiano Duranti Leggenda vera croce particolareman mano che fuori il temporale s’addensa ci si intrattiene a smangiucchiare tra un sorso e l’altro del suddetto vino maremmano strisce di un prosciuttino casentinese che definire memorabile sarebbe minimizzare banalizzandone la bontà che non merita tanti aggettivi ma solo assaggi hic et nunc su fetta di pane sciocco fragrante.Prosciutto

ps.

A proposito di pentagrammi e di aretinitudine proprio l’oste Cristiano mi ricordava che la vicina Talla nel Casentino ha dato i natali a Guido Monaco, inventore immortale della notazione musicale.

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Brasserie Cantillon – Saint Lamvinus 2014

9 Febbraio 2016
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Saint Lamvinus

Birravino o vinobirra? La questione sembrerebbe delle più ombrose. Il fatto è che siamo di fronte ad una (un?) Lambic Belga e a della generica uva Merlot di Bordeaux che macerano assieme affinando in botti di rovere: intruglio bipolare che poi dopo rifermenta pure in bottiglia. Amo da matti la Cantillon, un folgorante campionario di birre acide, devo dire però che nello specifico la Saint-Lamvinus non è tra le mie predilette della lista. La spina dorsale acida è qui sempre eccessivamente squilibrata – andrebbe forse bevuta con più di qualche anno di distanza dall’annata di produzione? -, rilascia difatti alla lingua una ruvidità acre risolvendosi in un riflusso d’asprezze da frutti rossi rimasti per sempre ancora verdi perché acerbi troppo acerbi. Una bevanda così può risultare curiosa a un primo sorso, stramba al secondo, stucchevole al terzo. SupergennarinoA parte questa bizzarria di birra/vino la mia adorazione per Cantillon resta comunque granitica e immutata. L’appaiata migliore con la Gueuze 100 % Lambic Bio ad esempio, rimane senza dubbi un abbinamento insormontabile alla pizza Supergennarino (bufala + pomodorini del Piennolo)
eseguita sempre con spassionato scrupolo dall’amico mastro pizzaiolo Pierluigi Police ‘O Scugnizzo, nel cuore antico d’Arezzo.  

ps. Lambic è parola maschile ma resta tuttavia aperto il gender sessuale del nome come nel caso del syrah o della syrah, il barbera la barbera.

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France Gonzalvez “Escapade” Vin de France Blanc 2015

8 Febbraio 2016
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Escapade 2Chardonnay del Beaujolais schietto e assai curioso, grazie ancora Paky per questa chicca sciuè-sciuè della vigneronne France Gonzalvez: un vero poker d’assi poi sul sughetto di pelati e i ravioli ricotta fresca/spinaci del buon pastificio Faini a via dei Latini proprio lì affianco a te al tuo Sorì luogo ameno di sole tramutato in vino e di sorrisi com’è già inscritto nel nome che porta.

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Haderburg Metodo Classico Brut (Südtirol)

5 Febbraio 2016
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Haderburg

Haderburg. Metodo Classico dell’Alto Adige.
Selezione di Chardonnay 85%, Pinot Nero 15% fermenta una prima volta in tini d’acciaio. Dopo l’imbottigliamento, in primavera, avviene una seconda fermentazione in bottiglia, quindi 24 mesi è più o meno quanto dura la maturazione del vino sui lieviti. Haderburg retro

Franciacorta è toponimo più risaputo assurto a brand tout court a base spumante, anche se per la gran parte – generalizzo tranciando a colpi di machete – risultano sempre troppo dosati quando non addirittura sciroppetti, attaccaticci di palato: bollicine fin troppo zuccherose, piacione per molti, assai spiacevoli per me! Qui invece abbiamo una tale freschezza paglierina già al naso, una trama di cristallo infrangibile, quasi la finezza segreta d’una vena d’oro che sembra preservata in ciascuna delle bolle infinitesimali… peccato soltanto che una sola bottiglia per due persone esaurisca la sua corsa in un fulmine, neppure il tempo di dirsi: “Be’ ciao, allora come stai?”

 

Matassa Blanc 2011+2010 Vin de Pays des Côtes Catalanes

3 Febbraio 2016
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Un vecchio adagio contadino recita:

il miglior fertilizzante per la terra sono sempre le orme dei piedi del proprietario.

Tom Lubbe è un ardito neozelandese la cui concezione della “biodinamica” è tutta giocata nel lavoro continuo ed ossessivo in vigna con un’idea assai precisa sulla filtrazione dei vini senza chiarifiche di cui è convinto assertore per evitare – dice lui – incidenti spiacevoli dovuti a stramberie microbiche, a reazioni batteriologiche incontrollabili cosa che è più facile possa avvenire appunto coi vini non filtrati.Matassa Blanc Nel 2001 acquista una piccola vigna di vecchieviti (2 ettari) di Carignan nel Roussillon a 500/600 metri di suolo granitico sul livello del mare chiamata appunto Matassa sulle colline dette Coteaux du Fenouillèdes nel sud della Francia alle pendici dei Pirenei. Lubbe oltre ad aver vissuto e lavorato in Sud Africa per una donna straordinaria Louise Hofmeyer dell’Estate Welgemeend, per qualche vendemmia dal 1999 al 2002 si è fatto le ossa al Domaine Gauby con Gérard Gauby un altro produttore geniale della zona di cui sposerà la sorella. La prima annata è la 2002 e stiamo parlando di nemmeno 2000 bottiglie affinate sia in botti demi-muids di circa 500 litri che barriques nuove solo per un terzo. Già dal 2003 Lubbe acquista altri vigneti nella stessa zona un po’ più in basso attorno al paesino di Calce, e si tratta per lo più di vecchie vigne di 60 e 120 anni di media preservate dall’estinzione in gran parte varietà mediterranee quali Carignan, Grenache, Macabeu, Grenache Gris, Muscat d’Alexandrie, Muscat de Petits-Grains…  Ad oggi Domaine Matassa detiene 14 ettari assieme ad uno status mitologico nel piccolo-grande mondo dei produttori e bevitori di vini biodinamici comme il faut.

Ho trovato questa 2011 di Matassa Blanc (Grenache Gris 70% da vecchie vigne e Macabeau 30%) piacevolissima sia da annusare che da bere. Bevuta sostanziosa per equilibrio della grana minerale, la persistenza al palato. Impeccabile per pura pulizia dell’agrume di fondo e per l’armonia dei legni fusi alla perfezione con l’acidità. Nonostante fosse metà gennaio “in the bleak midwinter” a cena con un carissimo amico dall’altro comune amico Arnaldo della Taverna Pane e Vino in pieno centro a Cortona, ci è sembrato proprio di dissetarci ad una fonte d’eterna limpidezza quasi fosse una rinvigorente limonata estiva in abbinamento non-plus-ultra con l’invernale cavolo nero su crostini tostati di pane integrale “sciocco” (sciapo).

ps.

Ritrovo in bozza le note di degustazione ad una precedente bottiglia di Matassa Blanc aperta lo scorso anno:

Matassa Blanc 2010  – Matassa Blanc 2010

Fermentazione spontanea di Grenache Gris e Macabeau assieme ai propri lieviti indigeni in botti demi-muids entro cui il vino rimane ad invecchiare per 18 mesi, neppure 5000 le bottiglie prodotte. Al naso sbuffa fin da subito una folata di brezza marina che trascina con sé salsedine e odor di sassi; pungente la buccia di limone alle narici su scintille d’affumicature delicate non così preponderanti o invasive sia chiaro. Al palato è una crema grassa, un’opulenza sfarzosa sì ma mai eccessiva, trama di burro fuso con salvia, rosmarino, mentuccia selvatica sapientemente intrecciate ed altre erbette aromatiche di macchia mediterranea; rimpolpata balsamicità dal retrogusto pieno al punto di perfezione e maturità d’una pera appena colta dal ramo. Da ristappare almeno ogni anno… from here to eternity!