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Mercato dei Vini Fivi 2016 – Verticale di Barbacarlo – Incontro Lino Maga e Luigi Gregoletto

28 Novembre 2016
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Mercato dei Vini Fivi 2016 – Verticale di Barbacarlo – Incontro Lino Maga e Luigi Gregoletto

manifesto_tinyUltimo fine settimana di novembre, 26 e 27 a Piacenza per il Mercato dei vini FIVI, giunto alla sua VI edizione, organizzato dalla Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti.

Il mio coinvolgimento emotivo a questa splendida Fiera è non solo indiretto ma anche esplicito dato che l’omino con la barba in locandina magnificamente illustrata da Gianluca Folì, – così come mi faceva notare il bravissimo Davide Cocco di studiocru – sembro essere proprio io sputato nonostante non sono affatto io, giuro, e lo giuro sputando sui sassi come s’usava anticamente in terra di Sardegna stipulando un qualche patto d’amore o morte.1

La FIVI, che raccoglie ormai un migliaio di associati sotto la sua ala protettiva, traccia in fieri – non solo in fiera – alcune linee guida piuttosto chiare e distinte – cartesiane starei per dire – per quanto forse ancora leggermente generiche o un tantino amplie rispetto al coordinamento agroecologico e alla filosofia produttiva dei suoi associati.

Si tratta nello specifico di determinanti principi minimi, patti-chiari-amicizia-lunga intesi nel reciproco buon senso, nell’onestà intellettuale e nella pratica agricola di tutti i soci, senza dubbio affinabili nel tempo in termini d’autocontrollo amministrativo del gruppo e di gestione delle risorse interne in tema di sostenibilità, trasparenza di filiera e artigianalità. I pilastri fondanti della FIVI sono sicuramente suscettibili di perfezionamento man mano che il movimento accresce la sua portata etica e il suo consolidamento politico nel turbolento flusso internazionale del vino naturale o artigianale che dir si voglia. Questi semplici eppur complicati capisaldi sono limpidamente motivati nel suo manifesto associativo dove si reclama che il viticoltore aderente alla federazione: “coltiva le sue vigne, imbottiglia il proprio vino, curando personalmente il proprio prodotto. Vende tutto o parte del suo raccolto in bottiglia, sotto la sua responsabilità, con il suo nome e la sua etichetta“.4

Ho visto carrelli per la spesa stracolmi di casse di vino, spinti da gente sorridente in vena d’acquisto critico e non compulsivo. Molto confortante anche ammirare lo scambio di bottiglie tra impetuosi produttori d’ultima generazione, un segnale effettivo quest’ultimo, che i vignaioli sono curiosi anche dei vini altrui – lontani o vicini – e non si soffermano più soltanto ad ammirare, odorare, celebrare i fiorellini del proprio orticello com’è, ahimè, uso di tanti produttori campanilisti con le bende sugl’occhi, i tappi sulle orecchie, le mollette alle narici.

Dopotutto i dati del post-fiera parlano chiaro. I due giorni del Mercato Fivi 2016 hanno visto sfilare 9.000 ingressi (50% in più d’afflusso rispetto all’anno precedente) e molti produttori presi d’assalto al banchetto tanto che già il primo giorno non avevano quasi più vino né da far assaggiare né da vendere.6

Dopo un viaggio infernale in treno la sera prima dell’evento, tra sciopero dei mezzi, alluvioni in nord Italia e guasto tecnico al treno, resto bloccato per ore alla stazione di Bologna. Smadonnando e sbraitando (sbraitando e smadonnando a vostra scelta) dalle ore 20 o giù di lì, si erano comunque fatte le 23 passate quando mi ritrovo sbarellato assieme a un altra sporca dozzina di pendolari con un ultimo treno-carovana in direzione Parma dove mi son trovato costretto a cercarmi un alloggio di fortuna al primo hotel fuori la stazione non essendoci in loco neppure un taxi figuriamoci a localizzare un car2go.

Raggiungerò dunque Piacenza il giorno appresso perdendo quel micron di fiducia che ancora riponevo in Trenitalia oltre che aver perduto anche i soldi della prima sera d’albergo prenotato sempre a Piacenza.

Questo che segue un frammento strampalato di sogno che riporto dal risveglio a Parma:

Magda per l’amor di Dio fermati!

Mi sveglio da quest’incubo in cui ero uno psico-degustatore compulsivo con ansie compilatorie schizoidi alla Furio di Bianco Rosso e Verdone:

<<420 produttori.. 3 etichette di media (per difetto) a produttore.. 1260 bottiglie totali di media (per difetto)..
Ipotizzo di avere 2 giorni d’assaggi per me a pieno regime.. no chiacchiere.. no ingombri.. zero distrazioni.. solo vini.. dalle ore 12.00 alle ore 19.00.. fanno 14 (quattordici) ore totali a disposizione.. 90 vini l’ora.. assaggi a catena di montaggio.. 630 vini il I giorno.. 630 il II..>>

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Luca Ferraro ed altri parteciapanti mi hanno raccontato a cose fatte, che un momento di assoluta commozione generale condivisa da tutti i produttori adunati alla presentazione è stato il discorso di conferimento per il vignaiolo dell’anno a Luigi Gregoletto, che ha raccontato quanto segue:

“Dalla mia vita e dalle mie esperienze posso dire che la terra va rispettata, va amata, perché la terra è madre e sa ricompensare. Anche oggi che produrre molto è facile e produrre poco è altrettanto facile. Produrre equilibrato nel rispetto della terra, della sua conservazione e della qualità del prodotto, è molto più difficile. Ma sono convinto che questa sia la via da affrontare e sono altrettanto convinto che la terra non delude. La terra ti può fare meno ricco, ma sicuramente più signore.”

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Ho avuto poi il privilegio di assistere all’incontro tra Luigi Gregoletto (70 vendemmie alle spalle) e Lino Maga (classe ’32), due capitoli centrali dell’avventurosa storia del vino italiano.. “una spremuta d’umanità” (citaz. Walter Massa). Due saggi del vino vis-à-vis da cui ho assorbito questa sacrosanta verità:

Le traversie, gl’ostacoli, i problemi… ci aiutano a vivere.

La verticale di Barbacarlo organizzata in una sala degustazione al Mercato Fivi il II giorno, cioè domenica 27 novembre, è stata l’apice professionale ed umano di un’incredibile due giorni d’assaggi, incontri, emozioni, abbracci, condivisioni dei punti di vista con colleghi, amici, produttori, consumatori, ristoratori.

Per quel che possa contare, i vini mi sono piaciuti tutti moltissimo, ognuno con la sua specifica impressione cromatica, identità olfattiva, tessitura gustativa. Il sorseggio in batteria delle sei annate, è stato accompagnato da una frase luminosa, da un tono di voce struggente mormorato su timbro basso, pronunciata a mezza bocca dallo stesso artefice del Barbacarlo (identica cosa tra l’altro che ho sentito mormorare con la medesima purezza d’animo e reverenziale umiltà del singor Maga Lino anche da Josko Gravner):

Faccio il vino come si faceva duemila anni fa.

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  • 2011

Ancora troppo asciutto, ruvido, essenzialmente tannico. Un vino d’eccellenza cruda, che t’urla in faccia “dammi il grasso del prosciutto meglio stagionato in cantina, però quello più dolce e sudato..”

Asciuttezza e tannicità della 2011 ma con maggior spessore, finezza, potenza (s’avverte presumo, l’annata imponente). Un’austerità dall’anima odorosa in riposo nel calice, una genuinità di corpo dell’uva tramutata in vino che ti rende percettibile la grandezza sublime di questo vino nella prospettiva dei prossimi decenni (a dir poco).

  • 2009

Il vino meno caratterizzato della batteria. In fase di letargo sono sicuro. Quanto vorrei stapparne almeno uno ogni anno, tanto per seguire il percorso d’evoluzione, di formazione e crescita di quest’annata con più ordine filologico possibile.

  • 2007

Dolcezza perfetta. Dalle parole dello stesso Maga Lino o Signor Barbacarlo, so per certo che nonostante: “il mio vino non mi soddisfa mai”, la perfezione dolce dell’uva spremuta quando è raggiunta, – vuoi per temperamento dell’annata, vuoi per caparbietà del cristiano in vigna, casualità o fortuna, – è evidente poi che un miracolo di vino così strapperà un flebile sorriso d’intesa tra l’uomo duro e la sua terra, le sue viti ancor più aspre.

  • 2004

Il bicchiere dinamizza una complessità aromatica nell’aria attorno alle mie narici come fosse uno spettroscopio olfattivo: spezie esotiche, china, assenzio, rabarbaro, chiodi di garofano, infuso di genziana, bastoncini di liquirizia… un’annata di cui il perfezionista Lino Maga non è particolarmente soddisfatto – vi rendete conto? – che a me invece lascia in bocca un sentimento di tale bontà, succosità e bellezza, che mi vien difficile provare a farvi partecipi altrimenti a parole se non abbracciandovi in silenzio uno ad uno tutti – ma ci siete? – lettori giunti fin qui più o meno fedeli.

  • 2000

Pur se di annata difficile, altro monumento alla genuinità del succo d’uve fermentato a base di una composizione promiscua – come tradizione contadina comanda nell’Oltrepò Pavese in provincia di Pavia – della Croatina, dell’Uva Rara, dell’Ughetta (ovvero Vespolina) e forse anche della barbera.

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Verso la fine di quella che resterà incisa nella mia mente quale memorabile degustazione, ad un certo punto il confronto tra i due eroici contadini – eroi della terra – ha preso una piega un po’ malinconica, ha rintoccato cioè le campane di una mesta meditazione sulla morte, sulla malattia, sul mestiere di vivere, sul vanitas vanitatum d’ogni cosa, opinione e persona, adombrando a lutto – ogni tanto non può che farci bene – il pubblico di noi degustanti ossessivi e giratori di bicchieri seriali.

La chiosa finale, quasi fosse la massima di un severo filosofo francese del ‘700, è dello stesso Lino Maga in risposta alla domanda di Walter Massa: “Lino, cos’altro vuoi aggiungere per finire?”

Non ho niente da dire, se non c’è più niente da dire! (Lino Maga)

Una risposta che ritengo più dolce che amara – dolce il giusto, alla maniera di quei vini che lui il signor Barbacarlo ama di gran lunga -, una risposta sapiente che oggi mi risuona dentro come monito dell’ostinazione tenace ad andare avanti in silenzio, ad agire determinati verso la propria meta, a non avere mai tentennamenti, risentimenti o rimpianti, mai.