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Julian Jaynes, Il crollo della mente bicamerale e l’origine della coscienza

10 Giugno 2017
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Julian Jaynes, Il crollo della mente bicamerale e l’origine della coscienza (Adelphi)

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Problema filosofico per eccellenza: che cos’è la coscienza? dove origina? dove è localizzata? come possono delle cose impalpabili quali l’interiorità, i sentimenti, le sensazioni, essere generate dalla materia nuda e cruda?

<<La coscienza è la melodia che si diffonde dall’arpa e che non può pizzicarne le corde, la spuma che erompe rabbiosa dal fiume ma che non può modificarne il corso, l’ombra che segue fedelmente chi cammina, un passo dopo l’altro, ma che non ha alcuna possibilità di influenzarne il percorso.>> (Julian Jaynes)

Nel caso in cui si parla di avere la “coscienze apposto” o simili predicati etici e comportamentali, in questo caso specifico entrano in gioco questioni morali, religiose, sociali che stratificano l’identità dell’io e dell’altro i quali costituiscono la coscienza individuale che a sua volta è anche parte di una coscienza più estesa, cioè la coscienza collettiva, in un gioco infinito di specchi che si riflettono l’un l’altro.16523843662Proprio in merito al tema della coscienza individuale e coscienza sociale o collettiva, ma il profondo libro di Jaynes va ben oltre queste acquisizioni e tiene conto che anche l’aver “coscienza della coscienza” è una percezione determinata dall’ambiente e da altri fattori materiali che costituiscono la nostra personalità e ingabbiano la coscienza al corpo.

Bibliografia minima:

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« Come avvenga che qualcosa di così sorprendente come uno stato di coscienza sia il risultato della stimolazione del tessuto nervoso è tanto inspiegabile quanto la comparsa del genio quando Aladino, nella favola, strofina la lampada.»

(Thomas Henry Huxley, The elements of physiology and hygiene, 1868)20799560_2026014397626783_2518098307724159594_n

Il Dottor Oliver Sacks:

“Quando mi laureai in medicina nel ’58, sapevo di voler diventare un neurologo, di voler studiare come il cervello esprima la coscienza di sé, e di voler capire le sue stupefacenti capacità di percezione, immaginazione, memoria e allucinazione.”

Fotobiografia di Oliver Sacks

9 Ottobre 2015
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Ad integrazione fotografica di un mio precedente contributo, propongo con emozione e gioia questa antologia d’immagini di Bill Hayes che ritraggono con un discreto senso della distanza fissando con calorosa adesione umana sulle lastre vischiose del tempospazio il dottor Oliver Sacks negli ultimi suoi mesi di vita, ed emerge fin da subito un profilo in carne-ossa molto intimo ma non esibito. Partecipiamo cioè con questi scatti al quotidiano niente affatto rassegnato ma assai laborioso, vivace e vivo dell’uomo di studi sempre curioso come un ragazzino dei suoi oggetti di ricerca pur se d’uomo morente si tratta e questo lo percepiamo noi che osserviamo e lo sa bene lui che si sente inavvertitamente scrutato cosi proprio come fa anch’egli in una delle foto seguenti dove è immortalato mentre sta esaminando alcune farfalle alla lente d’ingrandimento.

Parallelamente al lucido diario della malattia che va man mano redigendo e che ho tradotto sempre in Generi Elementari, questa che segue è una vera e propria “foto-biografia” del poco tempo che resta al grande neurologo colto con sensibilità notevole dovuta senza dubbio ad una profonda intesa confidenziale ad un delicato quanto tacito patto d’amichevole complicità tra il soggetto fotografante e il soggetto fotografato.

Un Giardino di Farfalle7 Un Giardino di Farfalle

La Mia Tavola Periodica9 La Mia Tavola Periodica

Al Lavoro5 Al Lavoro

A Casa2 A Casa

La Mia Vita10 La Mia Vita

Gennaio6 Gennaio

Oliver1 Oliver

Copia e Incolla

4 Copia e Incolla

Al Lavoro5 Al Lavoro

Colazione all’Inglese3 Colazione all'Inglese

Studiando Bach16 Studiando Bach

Oliver15 Sera

Londra, Ore 1813 Oliver, Londra, Ore 18

Islanda12 Islanda

La Gioia di Scrivere8 La Gioia di Scrivere

“Ho visto il cielo intero polverizzato di stelle…”17 Ho Visto il Cielo Intero Polverizzato di Stelle…

Vita/morte d’Oliver Sacks. Energia Minerale e Preparazione all’Inorganico

6 Settembre 2015
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Non c’è più tempo per l’inessenziale

OTM-OrigAll’età di 82 anni qualche giorno fa è morto Oliver Sacks, professore di neurologia alla New York University School of Medicine, autore del recente libro autobiografico “On the Move”. Studioso appassionato di temi quali emicranie, allucinazioni, alterazioni percettive e disturbi sensoriali, ad un tempo storico della medicina, antropologo, neurologo, scrittore di viaggi. Ci ha lasciato un grande uomo di scienza e di lettere, un patrimonio culturale del nostro mondo, lucido esempio incarnato di una fusione davvero equilibrata, sensibile e profonda dei due ambiti della ricerca e del pensiero all’apparenza inconciliabili: l’umanistico e lo scientifico.

A fine febbraio scorso Sacks aveva dolorosamente annunciato di essere malato di cancro al fegato, dopo alcuni mesi verso primavera inoltrata scrive un altro frammento di questo penoso memoriale che rintoccava già tutti gli accenti funebri del testamento spirituale che annunciano solo di qualche settimana il proprio lutto estivo presentito. Man mano che queste confessioni commosse e commoventi sono uscite sul New York Times nel giro implacabile dei mesi scorsi, ho tradotto questi brani amareggiati ma anche liberatori, vitali e tonificanti a beneficio degl’amici e le amiche che non leggono in lingua ed ora le raccolgo assieme e ripropongo in tale ambito. E sono brani carichi di dolce/amara consapevolezza che irradiano una rassegnata, forte, saggia preparazione all’inorganico, un modello di comportamento per tutti noi, una dimostrazione scritta ma vissuta sulla pelle di incoraggiamento a setacciare fino all’ultimo l’essenziale della vita ed anche una traccia di conforto davanti all’inesorabilità del male incurabile e della morte. Lacrime perciò dolci/amarissime sulla barba scorrono ancora a rileggere questo prezioso, lancinante lascito intellettuale.

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La Mia Vita
Oliver Sacks e la Coscienza del Cancro Terminale
Un mese fa mi sentivo in ottima forma, gagliardo addirittura. A 81 anni ancora faccio a nuoto 60 vasche al giorno.
Ma la fortuna si è esaurita – qualche settimana fa ho saputo di avere una metastasi multipla al fegato. Nove anni fa mi fu diagnosticato una rara forma di tumore dell’occhio, un melanoma oculare. Nonostante le radiazioni ed i trattamenti al laser per rimuovere il tumore sostanzialmente mi hanno lasciato cieco in quell’occhio, soltanto in rarissimi casi quei tumori vanno in metastasi. Ed io rientro in quello sfortunato 2 percento.
Certo sono grato che mi siano stati concessi ancora nove anni di buona salute e produttività fin dalla prima diagnosi, ma ora sono faccia a faccia con l’idea di morire. Il cancro occupa un terzo del mio fegato e sebbene il suo avanzamento potrebbe rallentare, questa particolare forma cancerosa non puo’ comunque essere arrestata.
Dipende da me ora la scelta di come trascorrere i mesi che mi restano e devo viverli nella maniera più ricca, profonda e produttiva che riesca.
In questo sono incoraggiato dalle parole di David Hume, uno dei miei filosofi preferiti il quale alle età di 65 anni sapendo di essere mortalmente malato, in un solo giorno – era il mese di Aprile del 1776 – scrisse una breve autobiografia che intitolò: La Mia Vita.

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“Sto facendo i conti con una dissoluzione veloce” scriveva Hume. “Dalla mia malattia non ho accusato un minimo dolore, e cosa assai più strana, a dispetto del grande declino della mia persona, non ho mai sofferto neppure il minimo abbattimento nello spirito. Mantengo intatti lo stesso ardore di sempre negli studi, e la stessa gaiezza quando sono in compagnia.”
Son stato fortunato abbastanza a vivere oltre gl’80 ed anche i privilegiati 15 anni in più rispetto a quelli vissuti da Hume, son stati ugualmente ricchi di lavoro e d’amore. In quel frangente di tempo ho pubblicato cinque libri e completato un’autobiografia (assai più lunga delle poche pagine di Hume) che sarà pubblicata questa prossima Primavera, ed ho ancora molti altri libri quasi completati.
Ancora Hume: “Sono … un uomo dalle moderate inclinazioni, d’autorità docile, di un umore aperto socievole ed allegro, capace di devozione ma un poco suscettibile all’inimicizia e con una grande moderazione in tutte le mie passioni.”
Qui mi distanzio da Hume. Mentre ho molto apprezzato le relazioni amorose e d’amicizia senza essermi mai fatto alcun vero nemico, non posso dire lo stesso (né potrebbe dirlo nessuno che mi conosca) che sono un uomo dalle inclinazioni moderate. Al contrario sono un uomo di indole veemente con entusiasmi violenti ed estremamente eccessivo in tutte le mie passioni.
Ed ancora un passo in particolare mi colpisce dal saggio di Hume come particolarmente vero: “E’ difficile essere più distaccato ed indifferente alla vita di come lo sono io ora.”
Attraverso gl’ultimi giorni son stato in grado di osservare la mia vita come da una grande altitudine, come una specie di panorama e con una sempre più crescente impressione del collegamento di tutte le sue parti. Questo non significa che ho finito con la vita.

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Anzi, mi sento intensamente vivo, pieno di volontà e speranzoso nel tempo che ancora mi resta per approfondire le mie relazioni d’amicizia, dire addio a tutti quelli che amo, scrivere di più, viaggiare se ne ho le forze, realizzare nuovi livelli di consapevolezza e penetrazione. Questo richiederà audacia, chiarezza e sincerità di linguaggio, cercando così di rafforzare il mio resoconto col mondo. E ci sarà tempo anche per un po’ di divertimento, stupidità addirittura, perché no?
Percepisco un’improvvisa prospettiva ed un chiarissimo obiettivo di fondo. Non c’è più tempo per l’inessenziale. Devo concentrarmi su di me, il mio lavoro le mie amicizie. Non dovrò più guardare come ogni sera le “Notizie del Giorno”. Non dovrò più fare attenzione ai politici o alle discussioni sul riscaldamento globale.
Non è indifferenza ma distacco – ho sempre a cuore il Medio Oriente, il surriscaldamento del pianeta, la crescita della disuguaglianza, ma oramai questi non sono più fatti miei, appartengono al futuro. Gioisco quando incontro giovani di talento, anche quelli che mi hanno diagnosticato le metastasi e fatto la biopsia. Sento che il futuro è in buone mani.

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Negl’ultimi dieci anni ed oltre ho sempre più acquisito consapevolezza circa la morte dei miei coetanei. La mia generazione è al vicolo cieco ed ognuna di queste morti l’ho vissuta come una recisione ed una separazione d’una parte di me. Non ci sarà più nessuno come noi quando ce ne saremo andati, ma comunque a prescindere da questo, non c’è mai nessuno uguale ad un altro. Quando qualcuno muore non può essere rimpiazzato. Lascia dei buchi che non possono essere colmati, è un destino – il neurale e genetico destino – quello di ogni creatura umana nella sua unicità e di ogni singolo individuo di trovare la propria strada, vivere la propria vita, morire la propria morte.
Non posso certo far finta di non sentire paura, ma il mio sentimento prevalente è un sentimento di gratitudine. Son stato amato ed ho amato; mi è stato donato tanto ed ho dato a mia volta qualcosina di ritorno; ho letto viaggiato pensato e scritto. Ho avuto una relazione con il mondo, la speciale relazione sessuale degli scrittori e dei lettori col mondo.
Dopo tutto sono stato un essere senziente, un animale pensante su questo bellissimo pianeta e già solo questo di per sé è il più grande dei privilegi ed un’avventura enorme.

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Oliver Sacks: la mia tavola periodica

Aspetto sempre con ansiosa impazienza l’arrivo settimanale di riviste quali Nature e Science e sfoglio uno ad uno gl’articoli che riguardano di scienze fisiche e non – come forse invece dovrei fare – di quegli articoli che trattano la biologia e la medicina. Da ragazzo sono state difatti proprio le scienze fisiche ad avermi donato il primo senso di meraviglia.

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In un numero recente di Nature, c’era un elettrizzante saggio scritto dal premio Nobel per la fisica Frank Wilczek circa un nuovo modo di calcolare le lievissime differenze di massa tra neutroni e protoni. I nuovi calcoli confermano che i neutroni sono leggerissimamente più pesanti dei protoni – il rapporto delle loro rispettive masse è circa 939.56563 l’uno e 938.27231 l’altro – una differenza irrilevante si potrebbe tranquillamente pensare, eppure fosse stato altrimenti, l’universo non si sarebbe mai formato così come lo conosciamo ora. La capacità di calcolare queste differenze come scrive il Dr. Wilczek: “ci incoraggia a prevedere un futuro nel quale i fisici nucleari raggiungano quel grado di precisione e adattabilità che la fisica atomica ha già raggiunto” – una rivoluzione che, ahimè, non riuscirò a veder realizzata.

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Francis Crick era convinto che il “gran problema” – cioè quello di capire come dal cervello origini la coscienza – sarebbe stato risolto entro il 2030. “Lo vedrai” diceva spesso al mio amico neuroscienziato Ralph, “e anche tu Oliver potresti vederlo se vivrai fino alla mia età. Crick visse fino alla fine dei suoi 88 anni, lavorando e meditando proprio sul problema della coscienza. Ralph è morto prematuramente a soli 52 anni ed io ora invece sono un malato terminale di 82 anni. Devo dire che non sono troppo preoccupato per il “gran problema” della coscienza – anzi a dirla tutta, non lo vedo neppure come un problema, eppure sono triste perché non riuscirò a vedere la nuova fisica nucleare prefigurata dal Dr Wilczeck e nemmeno migliaia di altre svolte epocali nelle scienze biologiche o in quelle fisiche.

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Poche settimane fa, in campagna, lontano dalle luci della città, ho osservato il cielo “polverizzato di stelle” (come nel poema di Milton); un cielo simile, immaginavo, può essere visto soltanto su un altopiano elevato ed asciutto come quello di Atacama in Cile (dove infatti ci sono i telescopi più potenti al mondo). È stato questo splendore celeste che improvvisamente m’ha fatto ricordare quanto poco tempo e quanta poca vita ho ancora davanti. Il mio sentimento della bellezza paradisiaca e dell’eternità era inseparabilmente fuso dentro di me con un senso di transitorietà e di morte.
Così ho detto ai miei amici Kate ed Allen: “mi piacerebbe rivedere questo cielo mentre sto morendo”, e loro mi hanno risposto: “Ti spingeremo noi fuori”.
Sin da quando lo scorso febbraio ho scritto del mio tumore metastatico sono stato confortato dalle centinaia di lettere che ho ricevuto dove mi esprimevano riconoscenza ed amore ed il sentimento che (nonostante tutto) potrei aver vissuto una vita buona ed utile. Sono molto felice e grato per tutto ciò eppure nessuna di queste lettere mi ha toccato così tanto come quel cielo di notte stipato di stelle.

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Fin dalla giovinezza ho avuto questa propensione a trattare con la perdita – la perdita di persone a me care – tramutandola in qualcosa di non-umano. Quando da bambino di 6 anni fui mandato a stare in collegio verso l’inizio della II Guerra Mondiale, i numeri divennero i miei migliori amici; quando poi all’età di 10 anni sono ritornato a Londra, miei grandi compagni erano gl’elementi chimici e la tavola periodica. Momenti di tensione durante tutta la vita mi hanno fatto spesso svoltare o ritornare verso le scienze fisiche, un mondo dove non c’è vita ma neppure c’è morte.

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Ora in questo frangente che la morte non sembra più essere tanto un concetto astratto ma una presenza – una molto ravvicinata ed innegabile presenza – mi sto nuovamente circondando, così come facevo da ragazzo, di metalli e minerali, piccoli emblemi dell’eternità. Ad una estremità della mia tavola di studio custodisco l’elemento 81 dentro un’incantevole scatola speditami dall’Inghilterra da amici degl’elementi, su cui c’è scritto: “Buon Compleanno Tallio”, in ricordo del mio ottantunesimo compleanno lo scorso luglio; e ancora, un regno devoto al piombo, cioè l’elemento 82 per i miei 82 anni appena compiuti all’inizio di questo mese. E poi ancora un piccolo scrigno di piombo, contenente l’elemento 90 cioè il torio, del torio in cristalli tanto stupendi quanto diamanti e, ovviamente, radioattivi, perciò tenuti nel cofanetto di piombo.

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All’inizio di quest’anno, le settimane subito dopo che ho saputo di avere il cancro, mi sono sentito molto bene, nonostante il fegato fosse mezzo gonfio di metastasi. Quando il cancro al fegato è stato poi trattato a febbraio con iniezioni di minuscole perline nelle arterie epatiche – un metodo chiamato embolizzazione – mi son sentito tremendamente male per un paio di settimane ma subito dopo son stato in grandissima forma come fossi stato ricaricato di energia fisica e mentale (le metastasi sono state quasi del tutto spazzate via dall’embolizzazione). Mi è stato quindi concesso non un condono ma un intervallo, del tempo per intensificare amicizie, vedere i pazienti, scrivere e viaggiare ancora una volta verso la mia terra d’origine: l’Inghilterra. La gente riusciva a credere a stento che mi trovavo a vivere in condizioni da malato terminale, io stesso a volte potevo facilmente dimenticarlo.

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Questo senso di salute ed energia ha cominciato a declinare verso la fine di maggio inizi di giugno, ma sono stato comunque in grado di celebrare con la giusta classe. Auden diceva spesso che uno dovrebbe sempre festeggiare il proprio compleanno, poco importa come ci si sente. Ma ora percepisco un senso di nausea e sto perdendo l’appetito; sento freddo di giorno, sudo durante la notte e sopratutto avverto una penetrante stanchezza ed un improvviso sfinimento se esagero a fare qualcosa. Continuo a nuotare ogni giorno ma con molta lentezza da quando ho cominciato a sentirmi più a corto di respiro. Prima potevo negarlo, ma adesso lo so, sono malato. Una TAC del 7 luglio conferma che le metastasi non si sono soltanto rigenerate nel fegato ma si stanno diffondendo anche oltre.

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La scorsa settimana ho cominciato un altro tipo di trattamento, l’immunoterapia, la quale comporta dei rischi, ma spero che almeno mi conceda la vita per un altro paio di buoni mesi. Prima di cominciare con questo trattamento ho voluto regalarmi una cosa divertente, un viaggio in Carolina del Nord per visitare quel meraviglioso centro di ricerche sui lemuri alla Duke University. I lemuri sono gl’animali più prossimi alla stirpe ancestrale da cui derivano tutti i primati e sono molto felice di pensare che uno dei miei antenati, 50 milioni di anni fa, era una piccola creatura abitante sugl’alberi non tanto diversa dai lemuri di oggi. Adoro quella loro natura curiosa e quella saltellante vitalità.

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Accanto al cerchio del piombo sul mio tavolo c’è il dominio del bismuto: bismuto naturalmente proveniente dall’Australia; piccoli lingotti di bismuto a forma di limousine da una miniera della Bolivia; bismuto lentamente raffreddato da una fusione sino a formare iridescenti terrazzamenti di cristallo come fosse un villaggio Hopi; dunque quale omaggio ad Euclide e alla bellezza della geometria un cilindro ed una sfera fatti di bismuto.
Il bismuto è l’elemento 83. Non credo che riuscirò mai a vedere il mio 83 (ottantatreesimo) compleanno, ma sento che c’è qualcosa di speranzoso, qualcosa di incoraggiante nell’avere il numero “83” accanto; oltretutto ho un debole per il bismuto che è un modesto metallo grigio molto spesso trascurato ed ignorato anche dagl’amanti del metallo. In quanto medico, i miei sentimenti per i maltrattati e i marginali si possono estendere anche verso il mondo inorganico e ritrovare quindi un’affinità parallela in questa mia passione per il bismuto. imagesQuasi sicuramente non vedrò il mio 84 (ottantaquattresimo) compleanno al polonio né vorrei di certo avere del polonio affianco con la sua intensa e mortale radioattività. Infine, sull’altra sponda del tavolo – il mio tavolo periodico – conservo un pezzo di berillio (elemento 4) perfettamente fatto a macchina, a ricordarmi dell’infanzia e di quanto tempo fa è cominciata la mia vita ormai quasi prossima alla fine.