[Ipotesi di titolo tronco in rosso bold : vin funest, vin profumerdin, vin del cazz]
Breve ma fin troppo veritiera definizione del vino funesto-profumerdino o ancora meglio: vino del cazzo:
- prodotto finale emesso dalla escrezione fitofarmaceutica in una vigna sterile dalle cui scorie d’uve anemiche minzionano – scacazzano – una bevanda aromatizzata al finto-parquet, incentivando così l’abuso di iper-tecnicismi in cantina e legittimando lo stupro enologico a sanguinosi colpi di sostanze di sintesi ed altre (troppe) indicibili “aggiunte” profumerdose pesantemente marcate dalla chimica industriale alimentare a base di lieviti cadaverini, inoculi psicotropo-latrinici, aromi finto-naturali e fuochini d’artificio emorroidali selezionati in obitori d’analisi funebre; il tutto sempre in stretta collaborazione – #haccaventiquattro – con gl’uffici marketing, più simili a fogne in verità, cioè le “fabbriche del consenso” per dirla con quel vecchio babbione di Chomsky.
- Profilo organolettico dei vini funesti profumerdini, già giustamente definiti in precedenza: vini del cazzo*:
a) colore violaceo di cancrena all’esofago;
b) sentore spiccato di linfonodi floreali;
c) retrogusto ampio, pieno, persistente tra la neoplasia agrumata al fegato e l’adenocarcinoma polmonare leggermente tannico.
*Insomma, presupposti i punti a, b, c, sarebbe opportuna a questo punto, nel caso di signori e signorini, una mano al gambo del bicchiere e l’altra alle palle. Si perdoni ora l’insolenza ma è a fin di bene, mentre a signore e signorine invece – queste ultime in special modo – è spassionatamente consigliata la rinuncia sia al vino profumerdino che al funesto tout-court, quanto a palle e cazzo…